Centinaia di lettere indirizzate agli amici, ai familiari, alle donne da lui amate, agli intellettuali costituiscono il romanzo autobiografico di Leopardi e rivelano un cuore che palpita, che prova grandi affetti, che desidera in maniera instancabile la felicità. La lettura delle epistole scagionerebbe l’autore una volta per tutte dalle malevole accuse di misantropia da cui dovette difendersi in vita e che gli furono mosse anche dopo morte. Il cuore del corpus epistolare è il desiderio di vivo affetto, l’entusiasmo per le persone che si accompagna alla ricerca di rapporti che siano di totale condivisione dell’anima, la perenne ricerca di una felicità che non sia banale, ma completa.

Particolarmente significativa è una lettera che Leopardi indirizza all’amico belga A. Jacopssen il 23 giugno 1823, pochi mesi prima della composizione della poesia «Alla sua donna». La riportiamo, qui, per intero, perché testimonia bene il cuore di Leopardi e il nucleo delle domande vive che lo animano:

Mio caro amico. Comincerò col ringraziarvi delle tante espressioni di benevolenza di cui mi onorate nella vostra incantevole lettera, e soprattutto dei segni di confidenza che voi mi date parlandomi del vostro tenore di vita, dei vostri pensieri, dei vostri sentimenti e dello stato della vostra anima.