L’angelo che era il più bello, il più vicino a Dio, diviene l’immenso mostro a tre teste all’origine del male. Dante conclude, con questa visione di Lucifero, il suo viaggio nell’Inferno. Un inferno tutt’altro che vuoto, come conferma la Bibbia.
In forma cinematografica appare a Dante un’immagine non nitida, simile ad un mulino dalle grosse pale che a poco a poco si configurano come le immense ali di Lucifero. Col loro movimento vorticoso esse trasformano l’acqua del lago in ghiaccio. Gigantesco, obbrobrioso, addirittura raccapricciante nell’aspetto, Lucifero visto da vicino non può trarre in inganno e sedurre con un’apparenza di bellezza, come fa quando tenta l’uomo. Alla vista della bruttezza di Lucifero Dante viator comprende che il male che c’è nel mondo proviene tutto da lui: «s’el fu sì bel com’elli è ora brutto,/ e contra ‘l suo fattore alzò le ciglia,/ ben dee da lui procedere ogni lutto».
L’angelo che era il più bello, il più vicino a Dio ha preferito ribellarsi a Lui, invece di essere grato per quanto ricevuto. Questo è il segno del vero male, del vero peccato, della vera immoralità, consistente nell’essere più attaccati a se stessi che affezionati alla verità. Colui che aveva la Verità di fronte si è posto lui stesso come menzogna e inganno al posto di Dio. Non può che diventare una «scimmia di Dio». Dante auctor lo rappresenta in chiave antifrastica del Creatore offrendone una parodia della Trinità. Infatti scrive: «Io vidi tre facce a la sua testa!/ […] Con sei occhi piangea, e per tre menti/ gocciava ‘l pianto e sanguinosa bava».