TRENTO. Sabato 9 aprile ore 10:00. Che cos’è la felicità?
Casa di spiritualità VILLA MORETTA. Istituto Sorelle della Misericordia. Via per Moretta di sotto n. 1
HANNO TUTTI BISOGNO DI UN MAESTRO E DI UNA COMPAGNIA UMANA PER RISCOPRIRE CHE L’ALBA NON E’ UNA COSA OVVIA.
SERVE PERO’ UNA DOMANDA DESTA E UNO SGUARDO ATTENTO. ALLORA LA REALTA’ CI SORPRENDERA’, PERCHE’ CRISTO E’ LI’ CHE ASPETTA CHE GLI APRIAMO UN VARCO.
Che cosa cercano i giovani al sabato sera, quando passano da un locale all’altro, quando si «sballano» tra l’alcool, la droga e una musica assordante? Forse loro non saprebbero rispondere in maniera precisa, forse non saprebbero rispondere a questa domanda neanche quegli adulti che li giudicano, li criticano, li censurano senza chiedersi che cosa stia al fondo di quel comportamento.
Che cosa può bastare all’animo umano? Il cuore dell’uomo è nato per la felicità, piena ed infinita, non ridotta a formule. Ecco perché, non appena qualcuno ha il coraggio di rimetterla a tema, l’attenzione di molti o forse dei giovani o di chi si sente ancora giovane sobbalza e rimane in ascolto, forse cercando la formula o la regola d’oro.
Dobbiamo avere il coraggio di guardare in fondo al nostro animo e provare a chiederci: «Che cosa può bastare al nostro animo?». Chiediamocelo ogni giorno e guardiamo all’altro come una persona che chiede e domanda felicità, anche quando non ne è pienamente cosciente. Anche quei giovani che spesso si sballano sono questa domanda insopprimibile.
Si può sostenere la speranza di felicità propria ed altrui solo quando nella vita si è incontrato qualcosa che è in grado di ridestare la domanda perché si è palesato come risposta. Per questo è un segno allarmante dei nostri tempi il fatto che gli adulti abbiano spesso paura delle domande di pienezza e dei sogni dei giovani.
Per questo è, però, motivo di grande speranza l’incontro con uomini che siano lieti. Abbiamo bisogno di uomini assetati di felicità. Abbiamo bisogno di incontrare uomini felici.
Il desiderio. Questa è la chiave perché si possa affrontare il lavoro, la scuola, lo studio universitario, le amicizie, il rapporto con il fidanzato o con la fidanzata animati da quello stesso entusiasmo e da quella trepidazione che provavamo il primo giorno.
Altrimenti, come non farsi prendere dalla monotonia, dal cinismo, dal sentimento comune che tanto non cambierà mai nulla? Come si può costruire qualcosa di grande e di bello, come far sì che questa giornata, questo mese, quest’anno scolastico o lavorativo siano un’occasione di costruzione di umanità, di incontri di umanità? Antoine de Saint Exupery scrive nella Cittadella: «Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini.
Ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito». E Chesterton ci ricorda: «La vita è la più grande delle avventure, ma solo l’avventuriero lo scopre». Come è provocatoria questa frase in un panorama in cui l’abitudine principale è quella di lamentarsi, di vivere il lavoro e la scuola come carceri, luoghi tetri e pesanti da cui evadere o in cui stare solo se si guadagna adeguatamente o si può far carriera.
La più grande delle avventure non è il viaggio nella solitudine dell’Alaska come nel film «Into the wild», ma la vita che ora, in questo preciso istante, è data a me e a te da vivere. Come può accadere ciò? Perché la vita sia un’avventura, bisogna recuperare la dimensione della scoperta. Sì, scoperta di sé e scoperta dell’altro, scoperta di un cuore che accomuna me e il mio collega, anche quello che non mi sta poi così simpatico, il ragazzo che si presenta per il primo giorno di scuola delle superiori come l’insegnante che sta per andare in pensione.
In questa scoperta del cuore che accomuna me all’altro che incontro, quel cuore che ci rende creati «a immagine e somiglianza» di Dio, sta la possibilità di uno sguardo misericordioso che valorizza il punto luminoso dell’altro (anche in mezzo a tanti limiti), perché spia del mistero che l’altro ha dentro.