Quando Dante concepì la stesura della Commedia? Davvero gli ultimi tredici canti del Paradiso erano andati perduti? Qual era la reale visione politica dell’autore? Chi era Beatrice? Ma soprattutto perché oggi dovremmo leggere la Divina Commedia, un’opera scritta settecento anni fa? L’ultimo libro di Giovanni Fighera, Tre giorni all’Inferno (Ares, 176 pagine, 13 euro), cerca di rispondere a queste domande e a tante altre curiosità. L’opera di Dante è tradotta in tutte le lingue del mondo, è apprezzata, possiamo dirlo, ovunque. Eppure i dati sullo studio di questo capolavoro nelle scuole e nelle università in Italia denunciano già un grave abbandono, a fronte, bisogna dirlo, di un interesse da parte del pubblico che comunque non è mai scemato in questi anni. L’indagine di Fighera vuole essere un viaggio che permetta al pubblico di affrontare l’intero percorso di Dante (dalla selva oscura alla visione delle stelle dell’emisfero australe) con un’attenzione ai versi del capolavoro, ma, nel contempo, con uno sguardo vivo al significato esistenziale del viaggio che l’autore ci suggerisce di affrontare, oggi, con lui.