E’ un libro coraggioso, che sa interrogare la tradizione e testimoniarla nella nostra contemporaneità con potente vigore. Si potrebbe correttamente sostenere che scrivere sulla bellezza è sempre un progetto coraggioso, anche se oggi le pretese di molti maestri del pensiero, che irridevano fino a poco tempo fa la bellezza, si sono ridimensionate. Ma da costoro è stato trovato un espediente per continuare a sottostimare il significato della bellezza, relativizzandolo, e lasciando così sottinteso, come un presupposto ineliminabile, l’inutilità del bello nella cultura contemporanea, così che continuasse a prevalere l’idea di una modernità sviluppata proprio contro il valore della bellezza e che su queste basi possa sempre di nuovo affermare i propri principi.

A quale modernità si fa riferimento? A quella che celebra il nichilismo ed esalta la libertà assoluta della ricerca scientifica. Un nichilismo – vera malattia spirituale del nostro tempo – sostenuto dalle correnti artistiche e filosofiche dominanti nel XX secolo, le prime che rivendicano l’autonomia estetica da qualsiasi relazione comunicativa, le seconde che rinunciano alla ricerca del fondamento e relativizzano la verità.

Riflettere sulla bellezza vuol dire impegnarsi coraggiosamente per un’altra modernità che non venga consegnata all’arbitrio scientifico e alla dissoluzione estetica. Il libro di Fighera espone con grande attenzione il costante richiamarsi della tradizione cristiana alla bellezza come luce che rischiara il cammino verso la verità. Con una profonda competenza nel reperimento e nell’uso delle fonti, Fighera ricostruisce il valore del bello che la modernità ha abbandonato, dimostrando come l’imperversare del brutto, del cattivo gusto non siano semplici opzioni soggettive, ma la cifra di un’epoca che degrada nel relativismo.