Il fatto cristiano è stato un grande fattore di sviluppo e di cambiamento della civiltà occidentale e, a seguire, delle civiltà che lo hanno incontrato. Il cristianesimo non è, però, un fattore sociale e culturale del passato. Si chiede Dostoevskij se un uomo colto di oggi possa ancora credere alla divinità di Cristo, ovvero se esistano dei segnali e delle prove che Cristo è più che un uomo ed è presente ancora oggi, non già come memoria e fatto del passato, ma come fattore vivo ed operante nella storia. Il cristianesimo non è un motore economico, un fattore di crescita sociale, una spinta alla solidarietà e all’assistenza reciproca. Il cristianesimo ha portato anche tutto questo, ma non può essere ridotto a ciò, non può essere ridotto ai valori e agli effetti che ha portato nel mondo. Il cristianesimo è in primo luogo l’avvenimento e l’annuncio di un fatto, un uomo che ha affermato di essere Dio, è morto, è risorto, un uomo che ha anche affermato che sarebbe stato con noi per sempre, fino alla fine del mondo. La novità di Cristo non riguarda, infatti, soltanto il cambiamento della civiltà, lo splendore della cultura, dell’arte e della scienza che fioriscono ed esprimono la bellezza del Mistero della realtà. La novità di Cristo oggi riguarda la vita di ciascuna singola persona che, incontrando la sua Presenza e il suo amore nel cammino dell’esistenza, rifiorisce.
Il colloquio di Gesù con il giovane ricco continua, in un certo senso, in ogni epoca della storia, anche oggi. La domanda: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?» sboccia nel cuore di ogni uomo, ed è sempre e solo Cristo a offrire la risposta piena e risolutiva. Il Maestro […] è sempre presente e operante in mezzo a noi, secondo la promessa: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo» (Mt 28,20). La contemporaneità di Cristo all’uomo di ogni tempo si realizza nel suo corpo, che è la Chiesa. Per questo il Signore promise ai suoi discepoli lo Spirito Santo, che avrebbe loro «ricordato» e fatto comprendere i suoi comandamenti (cf Gv 14,26) e sarebbe stato il principio sorgivo di una vita nuova nel mondo (cfr Gv 3,5-8; Rm 8,1-13).
La sfida dell’uomo di oggi come degli uomini che ci hanno preceduto è riconoscerLo presente mentre agisce nella nostra vita e nella vita degli altri. Pensiamo a cosa può accadere nelle carceri, quando qualcuno, lungi dal moralismo o da uno spirito giustizialista, porta l’annuncio cristiano. In un carcere di Padova alcuni carcerati sono rifioriti. Dice uno: «In carcere tu sei visto da tutti – detenuti e guardie – solo e soltanto per il reato che hai commesso. Nel bene e nel male. Rimani quello per sempre. Noi siamo cambiati. Capisci: noi siamo una piccola comunità». La vita può riprendere anche lì e ci si può sentire più liberi di tante persone che sono fuori dal carcere. Questo incontro, quello con Cristo, può cambiare la vita, nelle carceri come nel grigiore di tante strade metropolitane dove gli uomini camminano spesso tristi e ignari del prossimo che ti cammina a fianco, finché non ti imbatti in un volto più umano, più lieto che ti guarda… e allora tutto può ripartire. Di questa avventura affascinante dell’esperienza dell’amore nel cammino dell’esistenza, nelle diverse fasi della vita parleremo, però, nella quarta parte del libro.
Ora ci soffermeremo, invece, su come sia mutata la percezione del destino nella cristianità. Affermerà il filosofo francese Gabriel Marcel che ama davvero chi ti dice «Tu vivrai». Come cambia la visione della vita, con quale speranza si affrontano il presente e il futuro, crescono comunità e splende la civiltà di un popolo quando si vive con questa consapevolezza!