Se il domenicano san Tommaso ha presentato san Francesco nel canto XI, a descrivere la grandezza di san Domenico di Guzman è il francescano san Bonaventura da Bagnoregio, autore dell’Itinerarium mentis in deum, trattato mistico che è anche fonte ispiratrice importante della Commedia.

Si crea, così, un’efficace simmetria nella strutturazione di due canti che appaiono al lettore come gemelli, anche se con alcune differenze.  Infatti, se nel canto XI la descrizione della vita di san Francesco è preceduta da un’ampia presentazione delle anime dei Francescani che compongono la ghirlanda, nel XII, invece, lo spazio dedicato ai Domenicani è decisamente inferiore e riservato alle parole di san Bonaventura dopo che ha illustrato la vita di san Domenico.

Su quali fatti si sofferma san Bonaventura nel raccontare la vita di san Domenico?

Come san Tommaso afferma che, parlando di un santo (san Francesco) si tratta anche dell’altro (san Domenico), così san Bonaventura ribadisce:

Degno è che, dov’è l’un, l’altro s’induca:

sì che, com’elli ad una militaro,

così la gloria loro insieme luca.

Un linguaggio militaresco sottolinea come «vita militia est» ovvero «la vita è un combattimento» in primo luogo contro il proprio peccato e il male per affermare l’unico vero bene, quel Cristo che è via, verità e vita. Per questo la Chiesa militante è definita subito dopo «essercito (sic) di Cristo» e, poi, «milizia», mentre il verbo «riarmare» e la metafora dei soldati che si muovono lenti dietro alle insegne demarcano ancor più l’area lessicale bellica.

San Bonaventura presenta la differenza dei due ordini con i verbi «dire» e «fare» riferiti rispettivamente all’ordine domenicano e francescano: i due verbi richiamano la sapienza cherubina di san Domenico e l’ardore caritatevole serafino di san Francesco di cui ha parlato san Tommaso nel canto precedente.

Il santo descrive, poi, i luoghi in cui è nato san Domenico:

In quella parte ove surge ad aprire
Zefiro dolce le novelle fronde

di che si vede Europa rivestire,
non molto lungi al percuoter de l’onde
dietro a le quali, per la lunga foga,
lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde,
siede la fortunata Calaroga
sotto la protezion del grande scudo
in che soggiace il leone e soggioga.

In sintesi, il santo nacque a Calaroga, non molto lontano dall’Atlantico, più precisamente dal golfo di Biscaglia, all’interno del Regno di Castiglia e Leòn che aveva come stemma uno scudo diviso in quattro parti: a sinistra il castello di Castiglia si trova sopra e il leone di Leòn sotto, mentre a destra il leone è sopra e il castello sotto.

Lo spazio dedicato all’occidentalità di san Domenico è inferiore (solo nove versi) rispetto a quello dedicato all’orientalità di san Francesco (quattro terzine).

San Bonaventura definisce san Domenico come «drudo» della fede, ovvero amante o piuttosto «fido vassallo» secondo l’etimo germanico, e ancora «il santo atleta/  benigno a’ suoi e a’ nemici crudo», con probabile allusione alla definizione dei Domenicani come «pugilatori della fede» nella bolla di approvazione dell’ordine.

Nella vita dei due fondatori emerge una grande differenza: san Francesco è un convertito che ha cambiato condotta (certo, ancor giovane, ma dopo anni trascorsi tra divertimenti e smemoratezza), mentre san Domenico appare improntato alla santità da subito, addirittura dal sogno profetico della madre che porta ancora in grembo il figlio e che vede un cane di colori bianco e nero con una fiaccola in bocca.

Se san Francesco si unì in nozze con Madonna Povertà, san Domenico si sposò con la fede al battezzatoio quasi a sottolineare il carattere battesimale della sua santità in opposizione al tratto matrimoniale della santità di san Francesco.

Anche la madrina di Domenico ebbe un sogno premonitore in cui vide i frutti che sarebbero usciti da quel bambino e dai suoi compagni. Per questo fu battezzato con il nome di Domenico, possessivo che significa «appartenente al Signore». Il termine nomen deriverebbe da omen ovvero nel nome di una persona è contenuto il suo destino, il compito, la profezia, la vocazione stessa.

Se nel canto XI san Domenico è stato designato già con gli epiteti «principe» della Chiesa, «splendore di cherubica luce», rematore della barca di san Pietro, pastore di pecore, nel canto XII è presentato come «l’agricola che Cristo/ elesse a l’orto sua per aiutarlo», «messo e famigliar di Cristo»,

Per questa ragione il padre di Domenico è «veramente Felice» (ovvero «fortunato, che ha buon esito») e la madre «veramente Giovanna» (ovvero «Dio ha avuto misericordia»).

Domenico divenne dottore in teologia e iniziò a sorvegliare la vigna della Chiesa. Per questo chiese al papa Onorio III la licenza di combattere contro le eresie per preservare la giusta dottrina:

Poi, con dottrina e con volere insieme,

con l’officio appostolico si mosse

quasi torrente ch’alta vena preme,

e ne li sterpi eretici percosse
l’impeto suo, più vivamente quivi
dove le resistenze eran più grosse.
Di lui si fecer poi diversi rivi
onde l’orto catolico si riga,
sì che i suoi arbuscelli stan più vivi.

Dal torrente Domenico derivano, così, diversi fiumi ad irrigare l’orto della Chiesa. Sono i tre rami (predicatori, suore e terz’ordine) o gli innumerevoli conventi fondati nell’Europa.

La palinodia su san Domenico si conclude in maniera speculare a quella su san Francesco:

Se tal fu l’una rota de la biga

in che la Santa Chiesa si difese
e vinse in campo la sua civil briga,

ben ti dovrebbe assai esser palese

l’eccellenza de l’altra, di cui Tomma
dinanzi al mio venir fu sì cortese.

Se tanta è l’eccellenza del fondatore dei Domenicani, ci possiamo immaginare la grandezza dell’altra «rota de la biga», ovvero san Francesco, esaltata nel canto precedente.

Come san Tommaso aveva denunciato il degrado del proprio ordine, allo stesso modo san Bonaventura deplora la degenerazione dei Francescani nell’eccessivo rigore dello spirituale Ubertino da Casale e nel lassismo dei conventuali con la figura di Matteo d’Acquasparta.