altQuella che un tempo era l’arte del ben parlare e del ben scrivere, l’arte del persuadere, è ridotta nella scuola odierna allo studio delle figure retoriche, a quella che è una componente dell’elocutio, ovvero l’ornatus, un solo pezzo di quel gigantesco puzzle che è la retorica.

Qualsiasi manuale di retorica antico o moderno, dal De oratore di Cicerone all’Institutio oratoria di Quintiliano, dai manuali rinascimentali all’ottimo Manuale di retorica di Bice Mortara Garavelli, presenta le cinque fasi di cui si compone la disciplina della retorica.

L’inventio insegna a recuperare gli esempi, le immagini, le storie, le prove più convincenti per sostenere una determinata tesi o per argomentare una questione posta.

Nella dispositio si impara a strutturare il discorso in modo che sia persuasivo. Così, il discorso si comporrà di un esordio, di una narrazione, di un’argomentazione della tesi propria e della confutazione dell’altrui, infine della perorazione in cui il retore dovrà assicurarsi il favore e  l’appoggio del pubblico.

Solo dopo queste prime due fasi preliminari, il retore si accinge a scrivere perseguendo le virtù dell’espressione, dalla correttezza (puritas) alla chiarezza espositiva (perspicuitas) alla bellezza del dettato (ornatus) attraverso l’uso delle figure retoriche, l’eleganza lessicale (elegantia), il ritmo e la fluidità del discorso adeguato (cursus). Questa terza parte della retorica che insegna a scrivere è chiamata elocutio.