altL’artista non inventa mai nulla. Questo sostiene Manzoni nel dialogo Dell’invenzione.  «Inventare» deriva, infatti, dal verbo latino «invenire» che vuol dire «trovare», «incontrare». L’artista è come se trovasse nel creato le impronte del Creatore. Esiste, quindi, sempre un rapporto molto stretto tra l’arte e la realtà. Anche Dante e Shakespeare la pensano allo stesso modo. Il Fiorentino apre il Paradiso così: «La gloria di colui che tutto move/ per l’universo penetra, e risplende/ in una parte più e meno altrove./ Nel ciel che più de la sua luce prende/ fu’ io, e vidi cose che ridire/ né sa né può chi di là sù discende». Ovvero la bellezza che c’è nel creato è la sorgente dell’opera d’arte, è la sorgente di ogni atto, di ogni iniziativa artistica.

Nella tragedia shakespeariana Amleto, alla fine del primo atto, il protagonista parla con il fantasma del padre che gli ingiunge di non rivelare niente a nessuno di quello che ha visto. Riferendo all’amico Orazio quanto accaduto, Amleto afferma con tono categorico: «Ci sono più cose in cielo e in terra che nella tua filosofia, Orazio». La realtà è sempre più ricca di ogni immaginazione e, quindi, l’arte prenderà sempre spunto dallo stupore per la realtà, proprio come la filosofia e la stessa scienza. Nella rappresentazione dell’uomo la prima fonte da cui trarre ispirazione è, quindi, proprio l’osservazione dell’uomo reale.

In Manzoni la ricerca del «sacro vero», già così centrale nel carme «In morte di Carlo Imbonati», coinvolge nel tempo sempre più ogni ambito, culturale, letterario ed esistenziale. Così se dal punto di vista religioso si traduce tra il 1809 e il 1810 nella conversione al cattolicesimo, sotto il profilo letterario, invece, la ricerca del vero induce Manzoni prima all’adesione al Romanticismo e, poi, ad un sempre più ossessivo ed estenuante perseguimento della poetica del vero.

In questa prospettiva di rappresentazione veritiera della realtà storica Manzoni non rispetta nelle tragedie le tre unità aristoteliche di tempo, di spazio e di azione. Celebri sono le accuse che Monsieur Chauvet muove nei confronti della tragedia Il Conte di Carmagnola. L’autore lombardo gli risponde con la lettera sulle unità di tempo e di luogo nella tragedia, che può considerarsi un’efficace esposizione della poetica manzoniana.