Esaltato dagli artisti contemporanei, dal pittore Jacques Louis David, dal musicista Beethoven (che gli dedicò la sinfonia n. 3, la cosiddetta «Eroica»), dal filosofo Hegel, dallo scrittore Foscolo, tra i tanti che potrebbero essere ricordati, l’imperatore Napoleone desta senz’altro l’ammirazione di Alessandro Manzoni, ma non il suo amore. La voce di Manzoni «di mille voci al sònito/ mista la sua non ha:/ vergin di servo encomio/ e di codardo oltraggio». Manzoni, infatti, non ha mai elevato odi al grande comandante quando questi era al colmo della sua gloria né tanto meno lo ha denigrato quando è caduto nella polvere. Solo quando gli giunge nella villa di Brusuglio quaranta giorni più tardi la notizia della morte di Napoleone, in tre giorni lo scrittore lombardo «scioglie all’urna un cantico/ che forse non morrà»: «Il 5 maggio».

Manzoni è colpito dalla scomparsa di un personaggio così grande, che ha posto ordine tra due età, tra Illuminismo e Romanticismo. È bastato che Napoleone pronunciasse il suo nome («Ei si nomò») perché «due secoli,/ l’un contro l’altro armato,/ sommessi a lui si volsero,/ come aspettando il fato;/ ei fè silenzio, ed arbitro/ s’assise in mezzo a lor». Il comandante ha conquistato gran parte dell’Europa, dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno in un movimento direzionale Nord/Sud e poi Ovest/Est che sembra tracciare una croce forse alludendo al fatto che le sue truppe e le sue vittorie fulminee producevano morti sul campo e stermini.

Con Napoleone è scomparso un personaggio che ha dato il nome alla sua epoca, definita per l’appunto napoleonica, un uomo in cui, come direbbe Hegel, si è incarnato lo spirito della storia. Ma ancor più che dalla morte, Manzoni è colpito dalla notizia che Napoleone, che ha sempre assunto un atteggiamento fortemente anticlericale e anticattolico, si sia convertito prima di morire: «Mai più superba altezza si è inchinata al disonore del Golgota».