L’evento cristiano non rivoluziona soltanto l’arte figurativa, bensì introduce profondi elementi di novità anche nell’ambito della concezione della letteratura. Il Medioevo ha ereditato, senz’altro, la tradizionale tripartizione degli stili dal latino classico. Alcuni commentatori virgiliani della bassa latinità (Servio e Donato), associando i tre stili all’altezza degli argomenti affrontati, hanno designato questo rapporto tra opere e livelli di scrittura con l’espressione rota Virgili. Eneide, Georgiche, Bucoliche rappresentavano, così, rispettivamente i modelli dello stile sublime, medio e umile.

La tripartizione viene, spesso, messa in discussione e non più rispettata dagli scrittori cristiani. I Vangeli hanno, infatti, la «presunzione» di raccontare il fatto più grande che si possa narrare (l’esperienza dell’incontro con un Dio che si è fatto uomo) attraverso uno stile umile e semplice. La novità dei Vangeli è radicale, non solo dal punto di vista del messaggio annunciato, ma anche per l’introduzione di un nuovo stile, che Erich Auerbach definisce per l’appunto sermo humilis, immediato, comunicativo, come si addice ad una verità che deve essere accessibile a tutti e, nel contempo, ad un re che, nato in una stalla, è, poi, morto in croce.

Molti letterati cristiani scrivono opere dai temi alti e sublimi in uno stile semplice e sobrio o, altre volte, derivato da una commistione di registri e di stili differenti. Capolavori come la Divina commedia e il Decameron sono, in un certo senso, scaturiti da questa nuova consapevolezza letteraria e dalla mescolanza di stili. La tragedia stessa non ha più ragion d’essere, o meglio sarà tragedia cristiana, espressione di per se stessa ossimorica.

Questo è il caso della tragedia manzoniana, a carattere storico, in cinque atti, refrattaria all’adesione alle tre unità aristoteliche di tempo, di spazio e di azione. Manzoni interrompe la stesura degli «Inni sacri» (ne ha composti finora cinque), per dedicarsi completamente prima alla scrittura de Il Conte di Carmagnola (già avviato nel 1816, concluso nel 1819, pubblicato poi nel 1820) e poi a quella dell’Adelchi (scritto tra il 1820 e il 1822). Si documenta con grande scrupolo storico, prende spunto dai drammi storici elisabettiani di Marlowe e di Shakespeare e da quelli dello Sturm und Drang di Goethe e Schiller (Don Carlos, la trilogia di Wallenstein). In questi drammi storici emerge di solito il grande conflitto tra l’ideale e la realtà a cui i personaggi si devono adeguare. I personaggi e le circostanze storiche sono ben caratterizzati, mentre il tragico si mescola, talvolta, al comico (è il caso di alcune tragedie shakespeariane).