Giunta sera, l’Innominato non riesce a dormire, chiedendosi le ragioni per cui abbia acconsentito così repentinamente all’ennesima infamia. Preso da una cupa disperazione, decide di farla finita, impugna la pistola e se la pone alle tempie. Allora, la sua mente va alla vita che continuerà anche dopo la sua morte, ai suoi nemici che gioiranno della sua morte. «E assorto in queste contemplazioni tormentose, andava alzando e riabbassando, con una forza convulsiva del pollice, il cane della pistola; quando gli balenò in mente un altro pensiero. – Se quell’altra vita di cui m’hanno parlato quand’ero ragazzo, di cui parlano sempre, come se fosse cosa sicura; se quella vita non c’è, se è un invenzione de’ preti; che fo io? perché morire? cos’importa quello che ho fatto? cos’importa? è una pazzia la mia… E se c’è quest’altra vita…!-». Ovvero «Se Dio non esiste, tutto è permesso»: perché dovrebbe esistere il rimorso di coscienza per uno come l’Innominato che, impunito dalla legge, si considera al di sopra di tutto e di tutti? A meno che il cuore, richiamato alla verità dell’esistenza dalla cruda provocazione della vecchiaia e della morte, non riprenda per un momento a battere in forma umana!