Quando gli chiesi perché avesse scritto un libro sulla «felicità», Giovanni si mise a raccontare: «È tutto nato durante un’ora alternativa di Religione. Mi era stata assegnata una classe che, quasi per intero, aveva chiesto l’esonero. Alla prima ora provai a giocarmi le mie chances domandando ai ragazzi quali fossero le loro aspettative sulla vita, i desideri più profondi nelle loro giornate. Le risposte furono le solite: laurea, carriera, lavoro, ragazza… Allora li provocai chiedendo: “Scusate, ma non è più bello, più corrispondente al nostro cuore, desiderare di essere felice, bramare la felicità sempre e con tutta l’ampiezza del nostro desiderio?”. Gli studenti mi chiesero allora di approfondire. Per tutto l’anno abbiamo lavorato con la letteratura e con il cinema. L’anno seguente ho sentito l’esigenza di scrivere un testo dal carattere esistenziale e letterario che riproponesse l’indagine svolta intorno alla domanda di felicità dell’uomo».

Spesso ci si dimentica, si trascura o censura questa domanda, che è la più naturale e genuina nell’animo umano. L’uomo, così, sostituisce questo desiderio innato con la brama di essere bravo, perfetto, di affermarsi, così come scrive Cesbron in È mezzanotte Dottor Schweitzer: «Tutto l’orgoglio dell’uomo sta nel volere essere perfetto, non volere essere santi». L’affermazione potrebbe anche essere parafrasata così: «Tutto l’orgoglio dell’uomo sta nel voler essere perfetti e non voler essere felici».