Dante è approdato nel suo viaggio a vedere il punto più lontano dalla Terra e nel contempo il punto più lontano nel tempo, il momento iniziale. Il viaggio di Dante è stato di duplice natura: nello spazio (verso l’Empireo) e nel tempo (verso l’incarnazione e verso la nascita dell’universo).
Da un lato il poeta si è mosso dalla Terra (in particolare dalla selva oscura ubicata a Gerusalemme) verso il centro della Terra e poi sul Purgatorio e poi di Cielo in Cielo fino a giungere all’Empireo e alla Candida rosa: un viaggio dalla Terra fino ai confini dell’universo.
D’altra parte il viaggio è stato di natura temporale, dalla contemporaneità rappresentata dalla pressoché coetanea Beatrice fino al momento dell’incarnazione (il sì di Maria) e poi addirittura fino al punto iniziale, alla sorgente di tutto, quel Dio che è “amore che move il sole e l’altre stelle”, gloria che muove tutto, Creatore dell’intero universo. Potremmo definirla una prospettiva temporale retrograda.
Qual è la ragione per cui Dante adotta tale disposizione dei santi e compie un viaggio anche di tipo temporale, dalla contemporaneità verso l’incarnazione e l’origine dell’universo?
Perché l’incarnazione è il punto della storia in cui la rivelazione si compie, divide in due il tempo, è accaduta in un momento preciso e in un luogo determinato della terra. Ma Cristo è ancora presente e si può ancora incontrare nell’hic et nunc.
Dante vuole dimostrare come l’incarnazione continui ancora nella contemporaneità e l’incontro che gli apostoli hanno avuto con Cristo è stato possibile anche a lui attraverso il volto di una santa, Beatrice.
Scrive Singleton che Dante aveva consapevolezza che “c’erano e […] che sempre ci sarebbero stati lettori del poema desiderosi di vedere la Carne nel Verbo ed il Verbo nella Carne, due nature in una”.
Chiarisce Guardini:
Da questo evento alla fine della Commedia [l’incarnazione] è sorretto ogni passo del lungo pellegrinaggio e ogni avvenimento ne è la preparazione. […] L’esistenza umana è limitata e passeggera: rimane però vera nell’eternità di Dio e lì riceve il suo ultimo significato. […] Dio opera la salvezza, […] mediante un’azione ben distinta che domanda una decisione. Mediante il “segno di contraddizione”: la nascita umana del Figlio eterno di Dio, in quell’anno, in quel paese, in quella determinata situazione storica. Altrettanto vale per l’uomo singolo: egli è transitorio, ma quanto egli compie nel tempo transeunte vale per l’eternità. […] Il mondo è finito e transeunte, ma Dio gli conferisce senso e realtà. Nel peccatore esso sperimenta la morte, nell’uomo redento e perfetto, invece, il rinnovamento è riassunto in Dio, esso sussiste eterno come nuovo cielo e nuova terra.
Per questa ragione l’incarnazione è il cuore dell’ultima sezione del Paradiso (canti XXIII-XXXIII), cuore del canto di apertura della sezione (XXIII) e di quello di chiusura (XXXIII).
Per la stessa ragione l’incarnazione è presente e non in forma secondaria anche nei canti di apertura e di chiusura di tutte le tre sezioni e ciò corrobora l’ipotesi che nel percorso retrogrado temporale Dante voglia mostrare come l’incarnazione accade sempre nel presente per ogni uomo.