Nella puntata del 25 aprile si affronterà il Paradiso nella cultura classica e in particolare latina e nelle opere medioevali prima di Dante.

La Commedia è uno degli esiti più grandi e più belli che l’uomo abbia mai partorito. In saggezza greca e paradosso cristiano Charles Moeller scrive che la bellezza della Commedia è superata solo dalla bellezza dei santi, persone che hanno incontrato un ideale così grande che nel loro volto è come se incarnassero questa bellezza. Noi siamo stati fatti da Dio per la bellezza, per l’amore, per la felicità.

La bellezza trasmette sempre lo stupore, l’entusiasmo e la speranza che ci permettono di ripartire. Nel film Le vite degli altri il protagonista lavora nella Stasi e spia la vita delle persone. A un certo punto si trova a controllare la vita di un artista. Nel tempo, vedendo come questi vive in maniera diversa l’amore, l’arte, la musica, anche lui cambia. Allora esclama: «Come si fa ad essere cattivi dopo aver sentito una musica così bella?».

La vera bellezza porta al desiderio di cambiamento e di essere migliori.

IL PARADISO CRISTIANO NELLA LETTERATURA MEDIOEVALE PRIMA DI DANTE

Quando inizia a comparire il Paradiso cristiano nelle opere medioevali scritte in volgare? Non prima del Duecento, almeno per quanto sappiamo ad oggi.

Bonvesin de la Riva e Giacomino da Verona sono, infatti, quasi contemporanei di Dante, nati rispettivamente nel 1240 e nel 1255.

Il primo è autore del Libro delle tre scritture, composto verso il 1274. Le tre parti in cui è suddivisa l’opera non corrispondono ai tre regni dell’aldilà. Manca la descrizione del Purgatorio: l’Inferno è presentato nel De scriptura nigra, il Paradiso nel De scriptura aurea; la sezione intermedia, intitolata De scriptura rugia, racconta la passione di Cristo.

Il Paradiso occupa 752 versi (all’incirca la lunghezza di cinque canti danteschi). Siamo ben lontani dalla complessità della strutturazione del mondo della Commedia. L’insistenza di Bonvesin è soprattutto sulle note visive della «cità soprana […] d’or lucente». La bellezza di quel «dolcismo porto», di quel «precios tesoro» riservato ai beati è tale che mille anni trascorrono lì come una sola ora.

I beati sono portati dagli angeli dinanzi al «patre dolcissimo» e possono, così, godere lieti della sua gloria. La beatitudine e la letizia scaturiscono dalla contemplazione della città celeste, ove ogni pianto si tramuta in riso, ove la gratitudine diventa l’atteggiamento più consono alle anime dei santi.

Il sorriso delle anime e la luce luminosissima, descritti da Bonvesin de la Riva, saranno una delle note dominanti anche dell’intero viaggio di Dante, di Cielo in Cielo, fino alla visione della Candida Rosa nell’Empireo.

La gioia dei beati è posta a confronto con la tristezza del «miser maledegio» (ovvero dell’infelice maledetto), così come le dodici glorie del Paradiso descritte dal poeta sono contrapposte alle dieci punizioni dell’Inferno, raccontate nei 908 versi nel De scriptura nigra.

Un altro senso che permette di apprezzare la bellezza del Paradiso è l’olfatto:

Anche l’odore di tutte le spezie che si possono trovare al mondo a confronto dell’odore che si trova lì pare puzza (in parafrasi).

Bonvesin insiste sull’ineffabilità dell’esperienza del Paradiso tanto che scrive: «Eo no ‘l porria dir ni scrivir co la pena». Chiare sono le somiglianze con quanto Dante scrive nel primo canto del Paradiso:

[…] vidi cose che ridire

né sa né può chi di là sù discende.

Il poeta passa dalle sensazioni visive a quelle olfattive, e, poi, ancora da quelle olfattive a quelle uditive: la melodia in Cielo è meravigliosa, allietata del canto dei beati che godono della bellezza che hanno di fronte. I più bei suoni uditi in questo mondo sembrano «vilania» in quel luogo.

L’esperienza in un mondo soprannaturale è così indicibile che il poeta ricorre, spesso, ad un escamotage tipico del genere mistico: l’explanatio per argumenta exemplorum ovvero la spiegazione attraverso gli esempi.

Le similitudini servono per comunicare la gioia e il conforto delle anime che godono del Paradiso. Ad esempio, il sollievo che prova l’anima che è scampata dalla punizione dell’Inferno è paragonato a quello del condannato a morte scampato dalla prigione.

La letizia del volto dei beati proviene, in gran parte, dalla contemplazione della Regina del Cielo, la Madonna, “stella mattutina”, “rosa odorifera”, “medicina” per le malattie umane, così splendente che lo stesso Sole dinanzi a Lei perderebbe lucentezza.

Un altro grande motivo di letizia per i santi è la bellezza del canto dei nove ordini angelici: tutti gli strumenti del mondo produrrebbero «lamenti» al confronto.

Il cibo e le bevande che si trovano in Paradiso, sempre gradevoli al gusto, sono immuni dal deperimento.

Quali sono le differenze tra il racconto di Bonvesin e il poema dantesco? La dimensione del De scriptura aurea è in gran parte descrittiva a confronto del tono prevalentemente narrativo di Dante, che ci vuole raccontare un’esperienza, un’avventura, una storia. Nell’opera di Bonvesin mancano il viaggio nell’aldilà, la presenza dei santi, la strutturazione del Paradiso.

Bonvesin non sta raccontando una visione o il percorso salvifico da lui intrapreso, ma elenca le gioie di cui possono godere i santi in Paradiso con chiaro richiamo al plazer provenzale, in cui il trovatore elenca gli aspetti piacevoli di una stagione, di un mese o di un luogo.

Probabilmente un anno più tardi, Giacomino da Verona compone il De Babilonia civitate infernali e il De Ierusalem Coelesti, opere dedicate rispettivamente all’Inferno e al Paradiso, scritte in quartine monorime e lunghe all’incirca due canti della Commedia dantesca (340 versi la prima, 280 versi la seconda opera).

La Gerusalemme celeste è descritta come città dalle possenti ed alte mura, con tre belle porte a guardia delle quali sta un cherubino con la spada in mano. Dentro alla città splende il volto di Dio tanto che nessuna nuvola può oscurare la luce di quel luogo. Acque e fontane, giardini e piante vi prosperano. Angeli e santi, profeti e patriarchi, apostoli e martiri cantano lodi a Dio. Grande è l’armonia della musica. Mirabile è il volto di Cristo.

Grande è la devozione alla Madonna che contraddistingue il XIII e il XIV secolo tanto che Giacomino da Verona pone in conclusione al poema una preghiera rivolta alla Vergine. Anche Dante aprirà l’ultimo canto del Paradiso con l’inno alla Vergine elevato da san Bernardo.