Fra le cose che il Signore ci domanda c’è certamente l’unità dei cristiani nel suo nome: «Che siano una sola cosa perché il mondo creda». È un richiamo che vale per tutti i tempi e tutte le situazioni, ma urge particolarmente oggi nel clima di una cultura dove domina un relativismo disgregante che tende a rendere disumana la società.
Particolarmente oggi ci rendiamo conto dell’insufficienza di ogni ragionamento; le prediche, come l’educazione familiare, sono sempre meno incidenti. Sono particolarmente attuali le parole che ci provengono dalla tradizione orientale: «La verità non si dimostra, ma si mostra». I cristiani, pochi o tanti che siano, sono soprattutto oggi chiamati a dar «spettacolo» di unità, anche per salvare il mondo dallo scetticismo, dal caos e dalla disperazione.
L’unità, come ogni cosa buona e sana, parte sempre dal basso, o meglio dal profondo, dal cuore dell’uomo, dalla mia responsabilità. Non crediamo in tecniche inventate con disinvoltura dall’alto che sostituiscono all’esperienza di unità discorsi semplicemente razionali. La tecnica moderna ha certamente avvicinato gli uomini e creato possibilità di contatti che un secolo fa sembravano impossibili, ma le persone oggi più che mai vivono il travaglio della solitudine e della separazione, quando non si arriva alla disperazione
L’esperienza del samizdat (letteralmente “editoria clandestina”, un movimento di solidarietà per la dignità, la libertà e la responsabilità di ogni persona in alternativa al sistema sovietico) ha dimostrato che una società si può cambiare in meglio senza ottenere il permesso dagli uomini che detengono il potere, senza usare violenza, senza illudersi, ma semplicemente vivendo la verità della persona umana che nasconde un potenziale immenso. «Vivere nella verità», aveva detto Havel, è il fondamento per cambiare il mondo.