
In maniera analoga a molti letterati del Novecento il suo percorso di studi non è, però, di tipo umanistico. Dopo aver partecipato alla Grande guerra, di cui redige un diario e in cui perde il fratello, Gadda si laurea in Ingegneria e pratica la professione per una decina d’anni, finché non decide di dedicarsi alla scrittura, la sua vera passione. Per tutta la vita si sentirà fallito come ingegnere e come scrittore e, forse, percepirà «la sua vita già finita, e fallita, con la grande guerra, dove era andato con lo stato d’animo del colpevole e dell’inetto che cerca un riscatto attraverso un atto eroico, e magari attraverso la sua morte, mentre chi era morto davvero era il fratello» (Gioanola). Racconta Gadda nel Castello di Udine: «In guerra ho passato alcune ore delle migliori della mia vita, di quelle che mi hanno dato oblio e completa immedesimazione del mio essere con la mia idea: questa […] si chiama felicità». Ricorda il Contini che un giorno Gadda lo accompagnò a visitare l’altopiano di Asiago che era stato «testimone di quella sua felicità».