Siamo presi come tra due fuochi nella stalla di Betlemme dipinta da Federico Barocci nel 1597: gli occhi sgranati del bue e dell’asino e quelli sorpresi dei due pastori che battono all’uscio. Nessuno ci aveva condotto così dentro il Mistero del Natale. E ci sentiamo quasi in imbarazzo non sapendo bene dove collocarci. A ben guardare questa Natività è tutta in movimento: la Vergine spalanca le braccia quasi per segnare i confini eterni del Mistero; Gesù sembra essersi liberato in quel momento dal tepore della coperta e volge gli occhi alla Madre; san Giuseppe corre alla porta ad accogliere i pastori e questi ultimi già si piegano in adorazione prima ancora d’essere entrati. E in tutto quest’andirivieni dove siamo noi? Noi che stentiamo a credere al miracolo che ha cambiato il mondo, all’evento che ha fondato le radici della nostra Europa?
Questa natività mi pare uno spaccato della Chiesa attuale: non sappiamo bene dove collocarci all’interno delle Verità di sempre, perché tutto è in movimento. Nella capanna del Barocci dominano i toni del marrone, i toni della terra con i suoi neri più profondi e le schiarite improvvise della terra di Siena o della cenere. È il trionfo dell’umano. E non siamo noi di fronte a un mondo dove l’umano trionfa? Dove tutto deve, per forza, essere livellato all’interno di un pensiero unico? Certo la capanna del Barocci è piena di attesa e lo dicono gli oggetti sparsi qua e là come per caso, ma che obbediscono invece a un disegno sapiente; lo dicono i fili di paglia dorata che incorniciano la mangiatoia; lo dice il berretto rosso del primo pastore. Sì, mi piace credere, sollecitata dal Barocci, che anche qui tra noi ci sia tanta attesa, forse timida silenziosa, un’attesa simile a quella dei pastori, che senza quel berretto rosso scomparirebbero dentro l’oscurità della notte dalla quale provengono.