
Con
Repubblica è possibile acquistare il classico di Alessandro Manzoni,
I promessi sposi, riscritto da Umberto Eco. In un estratto ripreso dal giornale di Ezio Mauro, Eco scrive: «Il signor Alessandro sembra amare molto i poveretti, ma certo non sa proprio come aiutarli a far valere i loro diritti. E siccome, per l’appunto, era un cristiano assai fervente, tutti hanno detto che la sua morale era che bisogna rassegnarsi e sperare solo nella Provvidenza». Così, la Provvidenza diventa la semplice remissione a un dovere superiore, cui l’uomo è soggetto: un fato dal nome che suona cristianamente, perché tale era la fede dell’autore. «Sono convinto – dice a tempi.it
Giovanni Fighera, giornalista, scrittore e insegnante di italiano – che nel 2012 sia avvenuto un attacco molto forte sia contro il cristianesimo sia contro le opere che lo incarnano. Qualche mese fa l’associazione
Gherush 92 ha attaccato la
Divina Commedia in quanto islamofoba e antisemita. È il primo tentativo di attaccare opere di fede cristiana, è ridurre la genialità, la radicalità e la novità del cristianesimo. Insomma, il tentativo di Umberto Eco di sminuire la Provvidenza, e di delinearla come una forza superiore alla quale arrendersi remissivamente, non è cosa nuova. E, in ogni caso, non è il messaggio che insegna Manzoni».
Cos’è la Provvidenza che descrive Manzoni nel romanzo?
È espresso chiaramente alla fine del trentottesimo capitolo, dove è citato “il sugo”, il senso della storia. Manzoni non fa terminare I Promessi Sposi come una favola bella – “e vissero felici e contenti” – cioè con il matrimonio. Anzi, termina quasi con un litigio fra Renzo e Lucia, dove quest’ultima lo apostrofa con il termine “moralista”. Questo è il punto: I Promessi Sposi non vogliono essere un’opera moralistica e bigotta che vuole propinare solo degli insegnamenti – che sono quelli di cui va fiero Renzo: ho imparato a non alzare il gomito, a non girare per la città con i campanelli dei lebbrosi cinti ai piedi, ecc. – ma è altro.