È l’indifferenza che uccide due volte i martiri. L’indifferenza generata dall’omertà. Lo sanno bene i cristiani dell’Iraq che vengono allontanati dalla loro terra dalle milizie islamiche dell’Isis. Un’indifferenza di cui l’Occidente si sta rendendo sempre più responsabile fino a rasentare la complicità. Eppure quello che sta accadendo alle vittime della barbarie del nuovo Califfato iracheno sembra ripercorrere, nello svolgimento, la stessa dinamica di tante altre vittime dell’odium fidei.
Verrà un giorno in cui anche per i bambini e le donne irachene sarà riconosciuto l’appellativo di martire. Ma prima il loro ricordo dovrà cristallizzarsi fino quasi a scomparire come un seme, che poi, quando sarà il momento, potrà ridare nuovi frutti. È successo così anche per Rolando Rivi, il seminarista beato ucciso a 14 anni dai partigiani comunisti alle Piane di Monchio in provincia di Modena il 13 aprile 1945. Per la sua elevazione agli altari ci sono voluti 70 anni. 70 anni di silenzi, di omertà, di paure.
Non era da solo, quando una formazione di partigiani comunisti lo uccise con due colpi di pistola in un bosco dell’Appennino modenese. Con lui c’erano almeno uno, ma forse due suoi conoscenti di San Valentino di Castellarano, il paese natale in provincia di Reggio Emilia, da cui era scomparso senza spiegazione appena tre giorni prima. Rolando li conosceva bene, ma questi non fecero nulla per fermare l’odio ideologico del commissario politico della formazione partigiana Giuseppe Corghi e del comandante del distaccamento Delciso Rioli. Perché non intervennero? E perché non raccontarono mai per tutta la vita della loro presenza su a Monchio mentre il loro amico veniva ucciso barbaramente?