altPrima di passare alla seconda parte del volume di Giovanni Fighera, “Che cos’è mai l’uomo, perché di lui ti ricordi?”, pubblicato dalle Edizioni Ares (2012), è bene considerare i nuovi miti che si son imposti nella nostra epoca postmoderna. Mi riferisco a quello tecnologico delle macchine e della falsa facilità di accesso ai servizi e di comunicazione immediata (internet, facebook, twetter). Il professore Reale nella prefazione scrive: “la grandezza dell’uomo consiste non nel fare tutto ciò che si può fare, ma nella giusta scelta di ciò che si deve fare, e quindi nel non fare molte cose che di per sé, con le nuove tecnologie, si potrebbero fare”.

Ma per fare questo deve saper contestare l’idolo tecnologico e quello dello scientismo. A questo proposito Nicolas Gomez Davila nei suoi aforismi scrive: “L’uomo finirà per distruggersi, se non rinuncerà all’ambizione di realizzare tutto quello che può”. Il matrimonio tra la scienza e la tecnica è diventato un’autorità in apparenza indiscutibile e assoluta, autonoma. Subentra il mito della macchina, che meccanizza la vita. Pertanto, “Tutto l’ingegno dell’uomo è stato messo al servizio della creazione di quei ‘mostri’(nel senso etimologico del termine, cioè ‘prodigi o cose sorprendenti’), che dovevano essere i nostri strumenti, mentre sono finiti per diventare i nostri padroni” .Quindi secondo Fighera, “in maniera drammatica, quando viene a mancare l’io, trionfa la stupidità della macchina”.

Interessanti le riflessioni di Fighera in merito alla difficoltà che l’uomo contemporaneo ha di comunicare in maniera autentica. Infatti secondo Fighera,la perdita della parola è, in un certo senso, il rischio che corre un uomo che sempre utilizza degli strumenti di comunicazione che non hanno lo stesso calore della viva parola.