Alberto Moravia (1907-1990), Pincherle all’anagrafe, è autore di una sterminata produzione di romanzi (ricordiamo qui fra i tanti Gli indifferenti, Agostino, La ciociara, La noia) e di racconti (Racconti romani, Nuovi racconti romani). Nel Secondo dopoguerra Moravia rappresenta per tanti decenni, fino alla morte, un esempio illustre e celebrato di intellettuale engagé che riveste il ruolo di maȋtre á penser. Indubbiamente, nel clima culturale italiano incide profondamente la diffusione del pensiero di Gramsci (con la pubblicazione dei Quaderni dal carcere) e del filosofo francese J. P. Sartre che scrive in «Tempi moderni»: «Noi non vogliamo aver vergogna di scrivere e non abbiamo voglia di parlare per non dire niente. […] Per noi […] lo scrittore […] è dentro qualsiasi cosa faccia, segnato, compromesso». Proprio sulla scia dell’engagement dell’intellettuale, che diventa caratteristica di una lunga teoria di scrittori nella seconda metà del Novecento, Moravia interverrà con i suoi giudizi nei più vari campi. La sua influenza e la sua fama scemeranno assai rapidamente dopo la morte. Per i personaggi descritti nei romanzi di Moravia la realtà è, spesso, inadeguata e insufficiente. Quando si elimina il Mistero, niente sembra valere la considerazione dell’uomo. Così si vede, ad esempio, nel romanzo La noia in cui un pittore di nome Dino si lega sentimentalmente alla giovane Cecilia. Il rapporto tra i due si traduce in una relazione concepita esclusivamente dal punto di vista sessuale, senza alcuna condivisione affettiva, intellettuale ed esistenziale. Dino non riesce a creare alcun legame con la sua compagna. Per quanto lui si ricordi, ha sempre sofferto di noia. Questa non è, però, da intendersi come il contrario del divertimento e della distrazione.