Nel Cinquecento l’individualismo e il trionfo dell’homo divus che cerca un’affermazione personale al di fuori dell’appartenenza al popolo sono chiare espressioni della nascita della Modernità. La riforma protestante (1517) separa la coscienza dell’uomo dalla chiesa, la chiesa locale dalla chiesa di Roma, riduce l’uomo al suo rapporto personale con Dio, di fronte al proprio peccato e all’incredibile grandezza del Mistero. Non servono più chiesa, sacramenti, preti. Raggiungere la meta è diventato un traguardo da perseguire da soli, senza aiuti, senza mediazioni, senza compagnie. Questo tipo di individualismo si impadronisce anche di uomini che non aderiscono al Protestantesimo, ma che sentono, pur se in ambito cattolico, la suggestione del pensiero di Lutero. La chiesa peccatrice è stata separata dal Cristo perfetto. Come si potrà da soli seguire Cristo al di fuori della compagnia della chiesa?
Il Principe di Machiavelli (1513) sembra profetare altri aspetti della Modernità. Non ci si soffermerà qui su un testo così noto, ma si sottolineerà che il pensiero di Machiavelli anticipa la separazione degli ambiti, tra la politica e la morale, tra gli ambiti specialistici e quelli che afferiscono alla sfera della dimensione esistenziale e religiosa.
Il criterio di valutazione all’interno dell’ambito politico appare il mantenimento e il rafforzamento dello Stato. In quella prospettiva tutto è concesso. Machiavelli dedica il trattato a Lorenzo de Medici, nipote del grande Lorenzo il Magnifico e nuovo signore di Firenze. Il principe della corte o signore della città è una delle figure ideali dell’epoca. Gli specula principis avevano fino ad allora rappresentato la figura perfetta e ideale del principe. Il politico fiorentino per la prima volta istruisce il signore con consigli che potrebbero gettare discredito su di lui, perché si ispirano alla verità effettuale, cioè alla cattiveria della natura umana, e al criterio della ragione di Stato.