Il titolo è di quelli provocatori, almeno quanto quelli dei primi due libri Sposati e sii sottomessa e Sposala e muori per lei, che hanno destato lo scandalo di tanti intellettuali così tanto politically correct nei confronti del linguaggio e dell’uso delle parole quanto scorretti nei confronti della persona della Miriano, di cui probabilmente non hanno letto neppure i primi capitoli delle opere. La Miriano, però, rinuncia fin da subito a qualsiasi merito nell’invenzione di un titolo così originale, Obbedire è meglio, addebitando la creazione dell’aforisma al più grande dei creatori, il Signore stesso: la frase è, infatti, tratta dalla Bibbia. Ma se i detrattori della Miriano che vorrebbero colpirla con l’ostracismo, lasciato da parte il loro giudizio iconoclasta, leggessero queste pagine si renderebbero conto che lei scrive di persone, di vita e di amore e che i clichè ideologici che le sono stati affibbiati sono tanto distanti da lei quanto l’urbanizzazione dalla Luna.
Miriano ci attesta di aver trovato il segreto della felicità. E in che cosa risiede? Sentiamo direttamente lei quando introduce l’opera: «Ecco, un libro sul portare i propri pesi e magari quelli degli altri non andrà esattamente a ruba, lo so […]. Eppure credo che riguardi un sacco di gente. Basta vedere la gente in giro. Basta ascoltare, guardare, parlare con quelli che incontriamo. Il mistero della fatica, del non amarsi, del dolore, della sofferenza, in generale il mistero del male, ci riguarda, tutti». In mezzo a questa condizione umana, qual è la modalità per essere felici? «Essere agnelli. Prendere su di sé anche il male degli altri, oltre al proprio, non entrare in risonanza con le malignità, porgere mitemente il collo. L’agnello […] lo fa quando ha un pastore buono che gli vuole veramente bene e si prende cura di lui».
Nel mondo di oggi dell’autosufficienza e dell’autodeterminazione, in cui essere adulti è divenuto sinonimo di indipendenza e di autonomia, la parola «obbedienza» è inaudita.