Perché vengano esaudite le sue richieste la maga Eritto presenta i suoi più orripilanti crimini come se fossero meriti che lei possa vantare nei confronti delle divinità dell’Ade. La captatio benevolentiae avviene attraverso l’enunciazione di efferati crimini come il sacrificio di grembi di donne feconde o di teste di bimbi. Qui Lucano raggiunge probabilmente i vertici del suo gusto per l’orrido e il macabro. Evidentemente, tutte le divinità e gli esseri dell’Oltremondo sono crudeli e malvagi e possono essere assecondati solo attraverso l’attestazione del male che si è compiuto. La Maga Eritto scongiura le «Eumenidi, vergogna dello Stige, castigo dei colpevoli», il «Caos bramoso di confondere innumerevoli mondi», lo «Stige, signore della terra», l’«Elisio che nessuna Tessala merita», «Persefone», l’«ultima fase della nostra Ecate» che concede a lei e «alle ombre/ la facoltà di comunicare in silenzio», le Parche («le sorelle» che filano «gli stami della vita/ per poi troncarli»), «il traghettatore dell’onda bollente,/ vecchio ormai stanco» (Caronte). In questo modo il lettore viene a conoscenza dei personaggi e dei luoghi dell’Ade. La maga chiede un’anima che sia appena morta, non una «già sprofondata nel Tartaro,/ e da tempo avvezza alle tenebre», ma «una che ha appena lasciato/ la luce e sta discendendo; è ancora ferma sulla soglia/ del pallido Orco».
La Maga allora «solleva il capo del morto / disteso e la bocca schiumante,/e ne vede l’anima eretta,/ atterrita dalle membra esanimi». Poiché il cadavere non pare recuperare con prontezza la vita e l’anima sembra come refrattaria a rientrare nel corpo defunto, la maga si adira con la Morte, «frusta il cadavere immoto con un vivo serpente», «latra contro i Mani», inveisce con Tisifone e Megera, sorde alla sua voce e restie a prestare la vita al cadavere, anche per poco, apostrofandole «cagne dello Stige». Dov’è finita la pietas per il defunto? Dov’è finito il rispetto per le divinità dell’Oltremondo? Qui sembra scemata anche solo la parvenza del mos maiorum. Dopo qualche indugio il corpo si ravviva, poiché il sangue riprende a circolare. «Il cadavere non si solleva lentamente/ membro per membro, dalla terra, ma ne viene respinto/ d’un colpo solo. Allentatesi le palpebre riappaiono/ gli occhi. Non ha ancora l’aspetto di un vivo,/ bensì d’un morente, permangono la rigidezza e il pallore,/ è attonito al ritorno nel mondo». La maga ordina al cadavere di profetizzare la sorte dei pompeiani promettendo di bruciare il corpo del soldato tanto da ridurlo in polvere in modo tale che nessuna maga tessala possa poi in futuro richiamarlo in vita. La maga non gli offre preghiere che tanto non avrebbero alcun beneficio per il morto, bensì un sonno lungo da cui nessuna magia potrà mai più risvegliarlo. Questo sarà il premio per il vaticinio. Con parole sibilline il soldato rivelerà che i pompeiani non dovranno temere i campi della Tessaglia. Sesto Pompeo intenderà erroneamente la profezia a proprio favore. In realtà, a Farsalo Pompeo e i suoi figli non troveranno la morte (moriranno negli anni successivi in altri luoghi, durante la guerra civile), ma verranno sconfitti.
Finito il vaticinio, il soldato verrà posto sul rogo e morirà per la seconda volta e la Maga Eritto farà calare le tenebre, in modo da permettere a Sesto Pompeo possa tornare incolume al proprio accampamento. (pubblicato su La nuova bussola quotidiana del 12-5-2013)