
Nel piccolo idillio
L’infinito Leopardi descrive qui un’esperienza della mente avvenuta partendo dall’esperienza sensoriale della vista e dell’udito. La presenza del limite (in questo caso la siepe collocata sul colle e che ostacola la vista del paesaggio) invita il poeta ad andare oltre con lo sguardo dell’immaginazione. Mirabilmente la scrittura accompagna questo inoltrarsi nella terra incognita attraverso gli
enjambements presenti quasi alla fine di ogni verso e che traducono l’immagine dello sguardo che si avventura al di là della siepe (proprio come l’unità sintattica si protende al di là dell’unità metrica del verso nell’enjambement). L’animo dell’uomo non può reggere per molto il pensiero dell’infinito percepito attraverso le coordinate spaziali, perché prova come una vertigine, il brivido dell’incommensurabile («ove per poco/ Il cor non si spaura»). Ecco che l’evenienza anche di un fatto per così dire insignificante (lo stormire del vento tra le piante) ci distoglie dal rapporto con l’infinito e ci riporta repentinamente al contingente, al tempo che passa, agli anni che trascorrono, agli attimi fuggenti. Il poeta per pochi istanti compara la brevità degli anni con l’eternità (l’infinito dal punto di vista temporale): esperienza dell’immaginazione sostenibile per pochi secondi, perché il nostro io naufraga in questa immensità, provando, però, un senso di grande piacere (proprio perché il nostro animo è fatto per l’infinito). Naturalmente, Leopardi, pur cosciente che l’immaginazione c’è stata fornita dalla natura come grande sorgente di piaceri, evidenzia che questi sono solo illusori. La felicità «vera» deve abitare da un’altra parte, non nella nostra facoltà immaginativa.