11 giugno 1289. Dante si trovava a Campaldino dove partecipava come combattente a cavallo alla battaglia che vedeva contrapposti i guelfi, soprattutto fiorentini, ai ghibellini, in prevalenza aretini. Dante «ebbe temenza molta et nella fine grandissima allegrezza per li varii casi di quella battaglia» (traduzione di Leonardo Bruni di un’epistola perduta di Dante). Molti sono i morti in quel combattimento. Tra questi Bonconte da Montefeltro, la cui fine è avvolta da un alone di mistero. Infatti, il suo corpo non fu mai ritrovato. Circolò allora la voce che il torrente Archiano, ingrossatosi per il temporale che scoppiò la sera, avesse trascinato il corpo fino all’Arno.
Dante incontra Bonconte da Montefeltro nel Purgatorio dove è protagonista del canto V. I versi del poeta fiorentino raccontano quanto la storia non ci ha tramandato (come nel caso del principe Manfredi) e svelano i misteri di quella battaglia e, ancor più, degli ultimi istanti di vita di Bonconte. Urge qui ricordare la differenza tra la storia e la poesia così come la delinea Manzoni nella Lettera a Monsieur Chauvet. La storia consiste nella ricostruzione dei fatti e dei personaggi storici nella maniera più aderente possibile a quanto è accaduto nella realtà. La poesia documenta le cause segrete che hanno indotto un personaggio storico a comportarsi in un certo modo, spiegando quanto la storia non riesce a spiegare oppure creerà personaggi di pura invenzione, ma verosimili, che renderanno le vicende più accattivanti al lettore. L’opera letteraria si avvarrà, quindi, della commistione del vero poetico (verosimile) con il vero storico (storia).
Veniamo allora finalmente ai cinquanta versi del canto V in cui Dante racconta la vicenda di Bonconte. Lungo la salita della montagna Dante incontra alcune anime purganti «peccatori infino a l’ultima ora», rappacificatisi con Dio negli ultimi istanti. Vedendo un’anima viva, gli chiedono se sappia riconoscere qualcuno di loro.