Nel canto XVI del Purgatorio ci troviamo proprio a metà dell’intera Commedia (il canto cinquantesimo). Il poeta è giunto nella terza balza, dove espiano il loro vizio gli iracondi, immersi nel fumo. La pena del contrappasso è per analogia: come in vita l’iracondia ha impedito di vedere bene la realtà e le persone, allo stesso modo nell’aldilà un fumo spesso impedisce di scorgere bene il cammino. Le anime stanno pregando l’Agnus Dei («Agnus dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis, dona nobis pacem»): Gesù è l’agnello di Dio, segno di mansuetudine e di mitezza, che ha offerto la sua vita in espiazione dei nostri peccati, in antitesi al vizio dell’iracondia.
Tra gli iracondi Dante viator incontra Marco Lombardo, uomo di corte che ben conosce il mondo, vissuto nella seconda metà del secolo XIII. Dopo un breve dialogo tra i due, che richiama tanti altri colloqui già sentiti nel Purgatorio, preso da un dubbio che è di un’attualità sconcertante, Dante chiede a Marco di chi sia la colpa della corruzione contemporanea e della presenza di così tanto male nel mondo: «Lo mondo è ben così tutto diserto/ d’ogne virtute, come tu mi sone,/ e di malizia gravido e coverto;/ ma priego che m’addite la cagione,/ sì ch’i’la veggia e ch’i’ la mostri altrui:/ ché nel cielo uno, e un qua giù la pone».