Nella seconda cantica è tornata la luce e con essa la dimensione della notte e del sonno. Nell’oscurità Dante non cammina, ma dorme. Nell’Inferno per più volte lo svenimento del sommo poeta era stato l’escamotage per il passaggio da un cerchio all’altro (così fino al terzo cerchio), ma mai il poeta era stato colto dal sonno della notte.
Ora, il Fiorentino per la prima volta dorme quando sopraggiunge il buio nella valletta dei principi e prima che si svegli, all’alba, santa Lucia lo porta all’ingresso della porta del Purgatorio. Ivi, ripresosi dal torpore del sonno, sorpreso dal luogo ove si trova, viene a conoscenza da Virgilio di quanto è accaduto.
Dinanzi a Dante stanno tre gradini di tre colori differenti che introducono all’accesso del Purgatorio: il primo è bianco, il secondo scuro, il terzo rosso. Essi rappresentano probabilmente le tre fasi della confessione: la contritio cordis (la contrizione del cuore), la confessio oris (la confessione a parole) e la satisfactio operis (la soddisfazione per mezzo delle opere). Evidente è il riferimento al fatto che la purificazione può avvenire solo passando attraverso il sacramento della confessione.
Virgilio invita Dante a chiedere con umiltà l’apertura della porta del Purgatorio. Il poeta si getta ai piedi di un angelo portiere in maniera ossequiosa, poi implora misericordia e l’accesso al secondo regno. Con una spada in mano l’angelo gli incide sette «P», segno dei sette peccati (o meglio vizi) capitali che Dante incontrerà nel suo cammino di salita: superbia, invidia, avarizia e prodigalità, accidia, gola, lussuria.
L’impostazione morale che presiede il Purgatorio è mutuata dal sistema morale tomista per cui l’amore può sbagliare per «malo obbietto» (amore per il male del prossimo), «per poco vigore» (insufficiente intensità dell’amore verso Dio) o «per troppo vigore» (amore per i beni terreni oltre il giusto limite).