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L’ultimo cerchio è quello dei traditori nei confronti della patria, degli ospiti, dei parenti e dei benefattori. Non il fuoco, ma il ghiaccio rappresenta icasticamente la pena comminata a quanti, a causa del tradimento, hanno perso il loro stesso calore vitale, hanno violato la stessa natura umana, sono così cosificati, reificati, immersi nel ghiaccio come se fossero «festuca in vetro».

Ad un certo punto Dante vede «due ghiacciati in una buca,/ sì che l’un capo a l’altro era cappello;/ e come ‘l pan per fame si manduca,/ così ‘l sovran li denti a l’altro pose/ là ‘ve ‘l cervel s’aggiunge con la nuca». Un forte desiderio di vendetta anima questo dannato, paragonata a quel Tideo della Tebaide di Stazio, che, una volta colpito a morte da Menalippo, riuscì a trafiggerlo e a ucciderlo e chiese, prima di morire, la testa del nemico per roderla.