In tutta la produzione poetica Ungaretti (1888-1970) rivela un cuore che prova arsura e vuole essere colmato. Già in «Perché?» (1916) Ungaretti scrive: «Ha bisogno di qualche ristoro/ il mio buio cuore disperso». In Ragioni d’una poesia Ungaretti scrive: «Il mistero c’è, è in noi. Basta non dimenticarcene. Il mistero c’è, e col mistero, di pari passo, la misura; ma non la misura del mistero, cosa umanamente insensata; ma di qualche cosa che in un certo senso al mistero si opponga pur essendone la manifestazione più alta: questo mondo terreno considerato come continua invenzione dell’uomo». Lontano dal razionalismo e da una ragione ridotta a misura, Ungaretti è da sempre animato da un vivo senso religioso, da un desiderio sincero di capire le ragioni, di andare nella profondità delle cose. La sua poesia vuole raccontare la scoperta della realtà e della verità.
Partito volontario per la grande guerra, Ungaretti la affronta come soldato semplice, non in audaci operazioni o imprese militari come D’Annunzio, ma nell’esperienza traumatica della trincea, al fronte, prima quello italiano, poi quello francese. A Mariano, nel 1916, vede la sua stessa fragilità e il suo stesso ardore di vita e di amore nel nemico, suo fratello («Fratelli»). Nel bosco di Courton, nel 1918, le mitragliatrici tedesche abbattono i soldati nemici che cadono come le foglie in autunno dagli alberi («Si sta come/ d’autunno/ sugli alberi/ le foglie»). La guerra porta ad uccidere l’altro uomo.