L’uomo è un peccatore che dipende da Dio. Questo svelerà il santo eremita nel Perceval di Chrétien de Troyes o, se vogliamo, con definizione altrettanto felice, un «nulla capace di Dio», secondo la bellissima espressione del romanziere e saggista francese Daniel Rops. Tanta letteratura successiva al Medioevo ha diffuso lo stereotipo secondo il quale nell’epoca medioevale l’uomo fosse in secondo piano, schiacciato e oppresso dalla divinità e solo il Rinascimento avrebbe scoperto il valore centrale dell’uomo, lo avrebbe riposizionato al centro del cosmo. A sfatare questo pregiudizio infausto sul Medioevo ci soccorre una miniatura di santa Ildegarda di 0. Bingen, realizzata nel 1163. Inscritta in una Terra compare la figura di un uomo, circondato da Dio con il suo abbraccio misericordioso. Evidente è la somiglianza con l’uomo vitruviano realizzato da Leonardo da Vinci più di trecento anni più tardi (ca 1490). Anche lì un uomo è iscritto in una circonferenza, ma è scomparsa la presenza di Dio. Questo è il cambiamento epocale tra Medioevo e Rinascimento: non tanto l’introduzione della centralità dell’uomo, fatto già pienamente riconosciuto nel Medioevo cristiano, quanto la scomparsa della pertinenza di Dio con le vicende umane. L’uomo medioevale non è meno peccatore dell’uomo delle altre epoche, ma ha più chiara la consapevolezza di esserlo e di aspettare la propria salvezza da un Altro.