Nella prefazione all’Amante di Gramigna, una lettera indirizzata all’amico Salvatore Farina, romanziere molto prolifico, Verga spiega in cosa consista la poetica verista esponendo il canone dell’eclissi dell’autore. La novella deve sembrare qualcosa di raccolto tra i campi tanto che «l’opera d’arte sembrerà essersi fatta da sé». L’opera d’arte raggiungerà la perfezione quando «la mano dell’artista rimarrà assolutamente invisibile» e saranno solo le cose a parlare. Verga passa così da una «poesia di parole» ad una «poesia di cose». Per poesia dobbiamo qui intendere l’atto creativo: ogni termine utilizzato rappresenterà la realtà concreta.
La novella L’amante di Gramigna entra a far parte della raccolta Vita dei campi pubblicata nel 1880. La prima opera verista di Verga risale a due anni prima, quando Rosso malpelo viene pubblicato sulla rivista Il Fanfulla. La conversione di Verga al verismo è, in realtà, graduale. Gli esordi letterari di Verga sono romanzi di stampo patriottico-risorgimentale, come Amore e patria, Sulla laguna, I carbonari della montagna. Dopo i venticinque anni, a Firenze, pubblica Una peccatrice (1866) e Storia di una capinera (1871), opere di tipo erotico-passionale. A Milano Verga si trasferisce nel 1872, pubblicando Eva (1873), Eros (1875), Tigre reale (1875). Sono storie di amori impossibili, in contesti altolocati e borghesi. Verga conosce gli autori scapigliati e Luigi Capuana.