Dostoevskij scriveva nel lontano 1877: «L’Italia porta con sé da duemila anni un’idea di grandezza, reale, organica: l’idea di una idea generale dei popoli del mondo, che fu di Roma e poi dei papi. Il popolo italiano si sente depositario di un’idea universale e chi non lo sa non lo intuisce. L’arte e la scienza italiana sono piene di quella idea grande».
Ne è ben cosciente Solov’ev che nel 1895 scriveva: «Fra tutti i popoli europei il primo che raggiunse un’autocoscienza nazionale fu l’Italia. I creatori dell’autentica grandezza dell’Italia erano senza dubbio veri patrioti e conferivano un valore altissimo alla propria patria […]. Essi non ritenevano conforme a verità e bellezza affermare se stessi e la propria nazionalità, ma si affermavano direttamente nel vero e nel bello. […] Le opere d’arte italiane glorificavano l’Italia perché sono pregevoli in se stesse, pregevoli per tutti». Erede dello spirito della classicità greco-romana, il popolo italiano è diventato sempre più creativo nell’arte, nella letteratura, nelle opere sociali e caritative all’interno di quella grande eredità cristiana a cui si è ispirato durante i secoli. La peculiarità dell’Italia risiede nella sua universalità.
A parte gli strali scagliati contro la corruzione e la inadeguatezza dei potenti, non pochi sono gli entusiasmi che anche Dante mostra nelle sue opere nei confronti della sua terra, «il bel paese dove il sì suona», il bel giardino d’Europa. L’Italia c’è, eccome c’è, già all’epoca del grande poeta fiorentino (1265-1321), ma già prima quando nel 1224 san Francesco d’Assisi scriveva quel «Cantico delle creature» che avrebbe poi rappresentato l’inizio della letteratura italiana. Come è ben noto, il tema politico è un fil rouge fondamentale della Commedia e il sesto canto delle tre cantiche lo affronta in un climax ascendente, dall’estensione territoriale più ridotta a quella più ampia: Firenze nell’Inferno, l’Italia nel Purgatorio, l’Impero nel Paradiso.