Composta tra il 1316 e l’anno della morte, la terza cantica è dedicata a Cangrande della Scala. Nell’epistola in latino che invia al Signore di Verona il Sommo poeta indica il fine per cui ha composto l’opera: «removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere ad statum felicitatis»ovvero «rimuovere gli uomini finché sono ancora in vita dalla condizione di infelicità e accompagnarli allo stato della beatitudine». Il termine latino «miseria», nella sua duplice accezione, ben chiarisce la coincidenza tra la selva oscura del peccato e la condizione di infelicità. Nella stessa epistola Dante spiega i quattro livelli di lettura della Commedia: quello letterale, quello allegorico (attraverso l’interpretazione delle allegorie e dei simboli), quello morale (che mira a cogliere l’insegnamento che i versi vogliono impartire al lettore per la sua vita e la sua felicità) e, infine, quello anagogico (o religioso che riguarda la vita ultraterrena e la salvezza dell’anima). Solo una lettura attenta che miri a cogliere questi quattro sensi permette di intraprendere con Dante il viaggio esistenziale di redenzione per la propria felicità terrena e la salvezza eterna: i due fini della vita umana. Nella lettera il Fiorentino espone anche i contenuti della terza cantica: «gloria primi Motoris, qui Deus est, in omnibus partibus universi resplendet, sed ita ut in aliqua parte magis, et in aliqua minus». Questo sarebbe stato l’inizio del Paradiso in latino se Dante avesse composto l’opera nella lingua classica come gli aveva consigliato Giovanni del Virgilio. Il Fiorentino volle dimostrare a Giovanni del Virgilio la sua competenza di scrittura in latino inviandogli delle bucoliche. La scelta di scrivere in volgare l’alto poema non era certo motivata da incompetenza, ma aveva l’alta finalità pedagogica di voler comunicare a tutti la verità.
In volgare così appare l’incipit della terza cantica: «La gloria di colui che tutto move/ per l’universo penetra, e risplende/ in una parte più e meno altrove./ Nel ciel che più de la sua luce prende/ fu’ io». La materia è, quindi, completamente diversa da quella del’Inferno e da quella del Purgatorio. Ora il tema indicato come assiale in tutta l’opera è la gloria di Dio che muove tutto che sarà ripresa in maniera circolare nell’ultimo verso della Commedia «Amor che move il sole e l’altre stelle». Dio crea, fa nascere, fa crescere, ha la capacità di muovere il Creato. Il diavolo non può nulla, neppure creare il proprio regno, come sta scritto nell’epigrafe che sta in alto alla porta dell’Inferno: «Giustizia mosse il mio alto fattore/ fecemi la divina potestate/ la somma sapienza e ‘l primo amore». La gloria e la bellezza di Dio sono presenti ovunque, ma non si può sostenere che siano presenti e visibili allo stesso modo nell’universo: vi sono dei luoghi e dei punti in cui la grandezza di Dio sembra più evidente ed altri in cui la sua bellezza sembra oscurata e non palesemente chiara, magari per l’azione malvagia perpetrata dall’uomo. Pensiamo ai luoghi in cui imperversa l’atrocità della guerra e a quante volte chi soffre elevi verso l’alto il grido a Dio di intervenire, di mostrarsi, di far vedere il suo potere. Vi è, però, un luogo privilegiato della presenza di Dio, scrive Dante, ed è il Paradiso. Dov’è collocato il Paradiso dantesco, come è strutturato?