Dante ha superato gli esami sulle tre virtù teologali dinanzi alle figure autorevoli degli apostoli san Pietro, san Giacomo e san Giovanni. Potrà ben presto accedere alla visione di Dio, anche se solo dopo la mediazione di san Bernardo che chiederà l’intercessione della Madonna nell’inno «Vergine madre, figlia del tuo figlio». Le sorprese non sono, però, finite, prima dell’ultimo spettacolare canto. Superati tutti i cieli, Dante è, infatti, arrivato al Primo mobile, poi lo ha varcato in un punto qualunque ed è passato nell’Empireo da cui può vedere gli angeli e la candida rosa. Il sommo poeta ci riserva una descrizione dell’universo sorprendente e sbalorditiva.
Vede un punto così luminoso che gli occhi non sono in grado di sopportarne la luce. Attorno ad esso girano i nove cieli con una velocità inversamente proporzionale alla distanza dal punto. Beatrice spiega: «Da quel punto/ depende il cielo e tutta la natura./ Mira quel cerchio che più li è congiunto;/ e sappi che ‘l suo muovere è sì tosto/ per l’affocato amore ond’elli è punto». Siamo nel canto XXVIII. Forse potrebbe essere proprio questa descrizione, unita ad altri versi degli ultimi canti del Paradiso, la prova inconfutabile che Dante ha davvero visto qualcosa di straordinario, è davvero stato abbacinato da una visione. Autorevoli scienziati sostengono che questo e altri passaggi del testo dantesco possono, infatti, essere compresi solamente se si prendono in considerazione le acquisizioni scientifiche del ventesimo secolo relative all’espansione dell’universo, alla relatività e al big bang. Hanno sottolineato le somiglianze tra le attuali teorie sull’universo e la rappresentazione del cosmo dantesco che emergerebbe da una rilettura attenta del poema secondo le acquisizioni cosmologiche del ventesimo secolo.