Nel sesto cielo di Giove alcune anime si dispongono di fronte a Dante creando la scritta Diligite iustitiam, qui iudicatis terram ovvero «amate la giustizia voi che giudicate la terra». Altre scendono e si fermano in prossimità della lettera M formando la figura di un’aquila, chiaro simbolo dell’Impero. Se nel quinto Cielo prevaleva l’immagine della croce, simbolo della redenzione, ora si staglia l’immagine dell’aquila, segno dell’Impero: alla redenzione e all’Impero la provvidenza di Dio ha affidato l’ordine universale.
Dal cielo di Giove deriva la giustizia umana che l’Impero ha il compito di mantenere nel mondo. Dopo aver pregato perché la cupidigia, causa di tanti mali, si allontani dal mondo, Dante inveisce contro coloro che danno il cattivo esempio, in particolar modo papa Giovanni XXII, che comminava con facilità scomuniche per ragioni politiche. Non è la prima volta, come sappiamo, che Dante apostrofa con cattive parole i pontefici che hanno dato scandalo e che si sono comportati non come Servi Servorum Dei, bensì come cattivi amministratori della vigna del Padre. Tutti ricorderanno la bolgia dei simoniaci (Inferno XIX) in cui il Fiorentino era riuscito a condannare ben tre papi, Niccolò III, Bonifacio VIII e Clemente V (gli ultimi due addirittura prima della morte). L’ira di Dante nei confronti dei pontefici che hanno scandalizzato, invece di accompagnare il gregge del buon Pastore nel cammino della fede, lungi dallo smorzarsi nella terza cantica, diventa ancor più aspra e accanita.
Il poeta si sente exul immeritus, vittima dell’ingiustizia, condannato a morte in contumacia per baratteria, pur se innocente. Dante è cosciente che la giustizia umana non basta all’uomo, perché spesso lo condanna senza preoccuparsi di capirne il cuore, si lascia andare ad un’accusa dell’individuo senza limitarsi ad evidenziarne il peccato. La misericordia di Dio è, invece, oltre ogni umana misura e giustizia, non premiando chiunque, bensì chi con contrizione e verità di cuore riconosca il mistero buono e si affidi a Lui con tutta la propria fragilità. Nonostante questo, il poeta è anche conscio che occorra in Terra un garante della giustizia per tutti, non solo per i potenti e i ricchi. Questo garante è nella sua visione il sovrano.