Cacciaguida ha profetato l’esilio a Dante, che viene così colto da un forte dubbio. Se dovrà abbandonare la casa, i parenti e gli amici più cari, presso quale corte troverà mai ospitalità se racconterà tutto quanto ha visto nei tre regni, dal momento che all’Inferno, in Purgatorio e in Paradiso gli sono stati rivelati fatti che avranno per molti il «sapor di forte agrume». D’altra parte, Dante teme che, se non sarà testimone sincero della verità che ha visto, perderà la fama presso «coloro/ che questo tempo chiameranno antico», ovvero presso i posteri.
Insomma il Fiorentino è preso una volta ancora dalla paura che l’aveva attanagliato all’inizio del viaggio, quando per pusillanimità e viltà, non ritenendosi all’altezza di Enea e san Paolo che avevano avuto la grazia di vedere l’aldilà, più volte aveva mostrato titubanza nel seguire Virgilio. Ora, il viaggio è quasi terminato, Dante ritornerà sulla Terra, dove inizierà la sua vera missione nella vita ordinaria: dovrà avere il coraggio di essere poeta, di scrivere, di raccontare la verità. Questa sarà la sua vocazione, una chiamata iscritta nella realtà, a partire proprio dai talenti che gli sono stati donati: in primis la capacità di comporre versi. È il grande dilemma della vita che in qualche modo, prima o poi, blocca tutti noi: dovremo scegliere in base alla convenienza economica (per Dante era trovare ospitalità presso i signori) oppure a partire dai talenti al servizio di tutta la comunità, per la felicità nostra e degli altri?
Cacciaguida non ha dubbi al riguardo e in tono perentorio risponde: «Coscienza fusca/ o de la propria o de l’altrui vergogna/ pur sentirà la tua parola brusca./ Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,/ tutta tua vision fa manifesta;/ e lascia pur grattar dov’è la rogna./ Ché se la voce tua sarà molesta/ nel primo gusto, vital nodrimento/ lascerà poi, quando sarà digesta./ Questo tuo grido farà come vento,/ che le più alte cime più percuote;/ e ciò non fa d’onor poco argomento./ Però ti son mostrate in queste rote,/ nel monte e ne la valle dolorosa/ pur l’anime che son di fama note,/ che l’animo di quel ch’ode, non posa/ né ferma fede per essempro ch’aia/ la sua radice incognita e ascosa,/ né per altro argomento che non paia».