Su RADIO MARIA in onda la trasmissione I PROMESSI SPOSI E IL SUGO DELLA STORIA giovedì 26 agosto alle ore 10: 30.
Prosegue la commedia di don Abbondio ed entrano in scena Renzo e Perpetua.
La commedia di don Abbondio pervade tutti i primi due capitoli del romanzo. Repentine si succedono le scene: dopo l’incontro con i bravi (prima scena), don Abbondio dialoga con Perpetua (seconda), poi trova scuse con Renzo per dilazionare il matrimonio (terza), infine il giovane s’imbatte nella pettegola Perpetua (quarta) e ritorna nella casa di don Abbondio (quinta). Vediamo con maggiore attenzione.
Perpetua si avvede fin da subito dell’aspetto del curato. La scena mostra la grande abilità del Manzoni nella costruzione di situazioni teatrali:
– Misericordia! cos’ha, signor padrone?
– Niente, niente, – rispose don Abbondio, lasciandosi andar tutto ansante sul suo seggiolone.
– Come, niente? La vuol dare ad intendere a me? così brutto com’è? Qualche gran caso è avvenuto.
– Oh, per amor del cielo! Quando dico niente, o è niente, o è cosa che non posso dire.
– Che non può dir neppure a me? Chi si prenderà cura della sua salute? Chi le darà un parere?…
– Ohimè! tacete, e non apparecchiate altro: datemi un bicchiere del mio vino.
– E lei mi vorrà sostenere che non ha niente! – disse Perpetua, empiendo il bicchiere, e tenendolo poi in mano, come se non volesse darlo che in premio della confidenza che si faceva tanto aspettare.
– Date qui, date qui, – disse don Abbondio, prendendole il bicchiere, con la mano non ben ferma, e votandolo poi in fretta, come se fosse una medicina.
– Vuol dunque ch’io sia costretta di domandar qua e là cosa sia accaduto al mio padrone? – disse Perpetua, ritta dinanzi a lui, con le mani arrovesciate sui fianchi, e le gomita appuntate davanti, guardandolo fisso, quasi volesse succhiargli dagli occhi il segreto.
– Per amor del cielo! non fate pettegolezzi, non fate schiamazzi: ne va… ne va la vita!
Alla fine Perpetua riesce a carpire il segreto di don Abbondio, desideroso d’altra parte di scaricarsi della preoccupazione e di condividerla con qualcuno. Se da un lato Perpetua è petulante, incapace di mantenere il silenzio tanto che proferisce il nome del mandante don Rodrigo ad alta voce, dall’altra mostra anche una saggezza popolare dispensando un buon consiglio al curato: rivolgersi all’arcivescovo, “un sant’uomo, e un uomo di polso, e che non ha paura di nessuno”. Più avanti nella storia sarà lo stesso arcivescovo a rimproverare don Abbondio per non essersi rivolto a lui subito.
All’inizio del secondo capitolo Manzoni si avvale della gradazione comico – parodistica:
Si racconta che il principe di Condé dormì profondamente la notte avanti la giornata di Rocroi: ma, in primo luogo, era molto affaticato; secondariamente aveva già date tutte le disposizioni necessarie, e stabilito ciò che dovesse fare, la mattina. Don Abbondio in vece non sapeva altro ancora se non che l’indomani sarebbe giorno di battaglia; quindi una gran parte della notte fu spesa in consulte angosciose.
Il curato è paragonato al grande comandante di eserciti francese che riesce a dormire prima della battaglia di Rocroi, mentre lui, povero prete che deve l’indomani comunicare a Renzo che il matrimonio non sarà celebrato, non può chiudere occhio per l’angoscia. Il punto di vista del racconto è quello del curato che nobilita il proprio problema. La sproporzione tra la dimensione epica della guerra e la situazione di don Abbondio è forte e genera ancora comicità.
Siamo all’8 novembre, giorno previsto per il matrimonio di Renzo e Lucia. Il lettore assiste alla terza scena comica. Don Abbondio finge di non ricordarsi che debba celebrare le nozze proprio quel giorno. Avanza scuse, una dopo l’altra, in un climax ascendente: non può quel giorno, non si sente bene, ci sono degli imbrogli, formalità che devono essere ancora assolte, degli “impedimenti dirimenti”, esposti in una lingua del tutto incomprensibile per l’analfabeta Renzo, per di più in versi (esametri), proprio per impressionare l’interlocutore:
Error, conditio, votum, cognatio, crimen,
Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas,
Si sis affinis,…
Manzoni esprime qui un’aspra riprensione nei confronti dell’uso di linguaggi difficili e incomprensibili da parte di dotti o di classi sociali elevate per sopraffare i poveri e gli indifesi.