Ecco quanto Jean Guitton scrive su I pensieri di Blaise Pascal: «Pascal ha dato […] un esempio del suo metodo tratto dallo studio della natura umana. Consideriamo l’uomo e vediamo le spiegazioni che i saggi hanno dato di quest’essere. Gli uni ne hanno visto la grandezza, l’autonomia, la libertà, la somiglianza con Dio. E non si sbagliano in questo; ma errano quando introducono in qualche maniera un fatale non… che, proclamando o almeno supponendo che la loro osservazione esaurisca l’uomo, il quale non sarebbe che grandezza, che potenza. Della verità che possedevano hanno dunque fatto un errore portandola all’esclusione… Ma guardiamo dall’altra parte. Ecco i loro eterni avversari. Questi dicono che l’uomo è miseria, incertezza, errore, tentennamento, contraddizione, e che la saggezza non sta nel preoccuparsi o nell’indagare, ma nel gustare la vita e il pensiero così come si presentano. È Montaigne e la sua famiglia. Ah! Ma perché non si è accontentato di questa constatazione, senza spingerla all’esasperazione, sino a escludere dall’uomo ogni grandezza?» (J. Guitton, Arte nuova di pensare, edizioni paoline).
L’attenta analisi della condizione esistenziale dell’uomo, del suo bisogno di compimento e della sua tensione all’assoluto è la premessa indispensabile per poter riconoscere che l’uomo non può darsi la felicità da solo, né tantomeno salvarsi da sé. In un certo senso, solo chi riconosce di essere ammalato e di aver bisogno di aiuto può domandare al medico. Per questo Gesù afferma di non essere venuto per i sani, ma per gli ammalati. Riconoscere che la propria natura umana è bisogno di una felicità infinita è, quindi, la premessa indispensabile perché l’uomo possa seguire Cristo, quando lo si incontra. Pascal è convinto che la fede nasca da questo incontro.