San Bonaventura presenta la differenza dei due ordini con i verbi «dire» e «fare» riferiti rispettivamente all’ordine domenicano e francescano: i due verbi richiamano la sapienza cherubina di san Domenico e l’ardore caritatevole serafino di san Francesco.

San Domencio nacque a Calaroga, non molto lontano dall’Atlantico, più precisamente dal golfo di Biscaglia, all’interno del Regno di Castiglia e Leòn che aveva come stemma uno scudo diviso in quattro parti: a sinistra il castello di Castiglia si trova sopra e il leone di Leòn sotto, mentre a destra il leone è sopra e il castello sotto.

Lo spazio dedicato all’occidentalità di san Domenico è inferiore (solo nove versi) rispetto a quello dedicato all’orientalità di san Francesco (quattro terzine).

San Bonaventura definisce san Domenico come «drudo» della fede, ovvero amante o piuttosto «fido vassallo» secondo l’etimo germanico, e ancora «il santo atleta/  benigno a’ suoi e a’ nemici crudo», con probabile allusione alla definizione dei Domenicani come «pugilatori della fede» nella bolla di approvazione dell’ordine.

 

Nella vita dei due fondatori emerge una grande differenza: san Francesco è un convertito che ha cambiato condotta (certo, ancor giovane, ma dopo anni trascorsi tra divertimenti e smemoratezza), mentre san Domenico appare improntato alla santità da subito, addirittura dal sogno profetico della madre che porta ancora in grembo il figlio e che vede un cane di colori bianco e nero con una fiaccola in bocca.

Se san Francesco si unì in nozze con Madonna Povertà, san Domenico si sposò con la fede al battezzatoio quasi a sottolineare il carattere battesimale della sua santità in opposizione al tratto matrimoniale della santità di san Francesco.

 

Anche la madrina di Domenico ebbe un sogno premonitore in cui vide i frutti che sarebbero usciti da quel bambino e dai suoi compagni. Per questo fu battezzato con il nome di Domenico, possessivo che significa «appartenente al Signore». Il termine nomen deriverebbe da omen ovvero nel nome di una persona è contenuto il suo destino, il compito, la profezia, la vocazione stessa.

 

Se nel canto XI san Domenico è stato designato già con gli epiteti «principe» della Chiesa, «splendore di cherubica luce», rematore della barca di san Pietro, pastore di pecore, nel canto XII è presentato come «l’agricola che Cristo/ elesse a l’orto sua per aiutarlo», «messo e famigliar di Cristo»,

Per questa ragione il padre di Domenico è «veramente Felice» (ovvero «fortunato, che ha buon esito») e la madre «veramente Giovanna» (ovvero «Dio ha avuto misericordia»).

 

Domenico divenne dottore in teologia e iniziò a sorvegliare la vigna della Chiesa. Per questo chiese al papa Onorio III la licenza di combattere contro le eresie per preservare la giusta dottrina:

 

Poi, con dottrina e con volere insieme,

con l’officio appostolico si mosse

quasi torrente ch’alta vena preme,

e ne li sterpi eretici percosse
l’impeto suo, più vivamente quivi
dove le resistenze eran più grosse.
Di lui si fecer poi diversi rivi
onde l’orto catolico si riga,
sì che i suoi arbuscelli stan più vivi.

Dal torrente Domenico derivano, così, diversi fiumi ad irrigare l’orto della Chiesa. Sono i tre rami (predicatori, suore e terz’ordine) o gli innumerevoli conventi fondati nell’Europa.

La palinodia su san Domenico si conclude in maniera speculare a quella su san Francesco:

 

Se tal fu l’una rota de la biga

in che la Santa Chiesa si difese
e vinse in campo la sua civil briga,

ben ti dovrebbe assai esser palese

l’eccellenza de l’altra, di cui Tomma
dinanzi al mio venir fu sì cortese.

 

Se tanta è l’eccellenza del fondatore dei Domenicani, ci possiamo immaginare la grandezza dell’altra «rota de la biga», ovvero san Francesco, esaltata nel canto precedente.

Come san Tommaso aveva denunciato il degrado del proprio ordine, allo stesso modo san Bonaventura deplora la degenerazione dei Francescani nell’eccessivo rigore dello spirituale Ubertino da Casale e nel lassismo dei conventuali con la figura di Matteo d’Acquasparta.

In maniera molto efficace solo a questo punto, dopo aver mostrato la grandezza del fondatore dell’altro ordine e la corruzione del proprio, l’anima che parla rivela la propria identità:

 

Io son la vita di Bonaventura

da Bagnoregio, che ne’ grandi offici

sempre pospuosi la sinistra cura

 

L’anima testimonia di aver posposto sempre le preoccupazioni mondane a quelle spirituali.

San Bonaventura presenta, poi, rapidamente le altre undici anime che formano con lui la ghirlanda:

 

Illuminato e Augustin son quici,
che fuor de’ primi scalzi poverelli
che nel capestro a Dio si fero amici.
Ugo da San Vittore è qui con elli,

e Pietro Mangiadore e Pietro Spano,

lo qual giù luce in dodici libelli;
Natàn profeta e ‘l metropolitano
Crisostomo e Anselmo e quel Donato
ch’a la prim’arte degnò porre mano.
Rabano è qui, e lucemi dallato
il calavrese abate Giovacchino,
di spirito profetico dotato.

Rapidamente ecco le anime che formano la ghirlanda con san Domenico: Illuminato da Rieti e Agostino d’Assisi tra i primi seguaci, Ugo da san Vittore (teologo, filosofo e cardinale della prima metà del XII secolo), Pietro Mangiadore (ovvero «divoratore di libri», grande divulgatore della seconda metà del XII secolo), Pietro Spano (papa tra il 1276 e il 1277, autore di dodici volumi di logica), il profeta Natan (dell’epoca di David e di Salomone), san Giovanni Crisostomo (ovvero Boccadoro, gran parlatore e metropolita di Costantinopoli tra il IV e il V secolo), Anselmo (d’Aosta o quello di Canterbury), Donato che studiò la prima arte del Trivio (la grammatica), Rabano Mauro (dotto arcivescovo di Magonza tra l’VIII e il IX secolo), Gioacchino da Fiore (cistercense, poi fondatore di un ordine, vissuto tra il 1130 e il 1202).

Giova notare come in vita san Bonaventura contestò lo spirito profetico di Gioacchino da Fiore, ora, invece, ne parla riconoscendogli proprio quel carisma.