Se in tutte le sue opere Foscolo ha sempre testimoniato la certezza che la bellezza abbia un valore altissimo nella crescita dell’umanità, negli inni delle Grazie questo è ancor più evidente. Senza la bellezza l’uomo non può vivere. Concepiti già nel 1802-1803, scritti per lo più tra il 1812 e il 1813, quando l’artista Antonio Canova stava realizzando il gruppo scultoreo omonimo, gli inni non vennero mai completati e furono pubblicati solo postumi (dopo essere stati riordinati dall’Orlandini nel 1848, dal Chiarini nel 1884 e dallo Scotti nel 1985).
La mancata conclusione dell’opera testimonia probabilmente l’inarrestabile tramonto della fase neoclassica nella poesia italiana, ma è altresì testimonianza emblematica delle difficoltà incontrate dal poeta nel realizzare opere organiche unitarie. Tanto è eccelsa la capacità di Foscolo nel realizzare piccoli quadretti e squarci lirico – poetici come in alcuni mirabili sonetti o in alcuni luoghi de I sepolcri altrettanto evidente è la difficoltà del poeta a conferire unità alle opere nel loro insieme, per cui l’Ortis è comunque un romanzo epistolare, composto, quindi, di lettere separate tra loro e il carme immortale de I sepolcri manifesta, pur nella sua grandezza che lo rende un’opera tra le più significative della letteratura mondiale, alcuni limiti nei passaggi analogici che lo caratterizzano e che, talvolta, attenuano l’intima unità delle parti.