Da quando esiste la civiltà, l’uomo ha sempre riservato un culto particolare alle tombe. Deorum manium iura sancta sunto. Questa frase incipitaria dei Sepolcri, indicata come appartenente al Codice delle XII tavole, in realtà è un antico precetto ricordato da Cicerone nel De legibus. Il richiamo alle prime leggi scritte di Roma, pur se erroneo, ha un valore assai significativo, perché documenta per Foscolo la salvaguardia delle tombe all’interno della legislazione in qualsiasi epoca.
La prima parte de I sepolcri (vv. 1-50) vuole comunicare il valore profondamente umano delle tombe, capaci di conservare il legame tra il vivo e l’estinto. I primi versi del carme si aprono con una domanda retorica che sembra ricalcare la dimostrazione per assurdo di cui ci si avvale nelle discipline scientifiche: «All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne/ Confortate di pianto è forse il sonno/ Della morte men duro? Ove più il Sole/ Per me alla terra non fecondi questa/ Bella d’erbe famiglia e d’animali,/ E quando vaghe di lusinghe innanzi/ A me non danzeran l’ore future,/ […] Qual fia ristoro a’ dì perduti un sasso/ Che distingua le mie dalle infinite/ Ossa che in terra e in mar semina morte?». A che serve un sasso che distingua la mia tomba dalle altre? Nella posizione materialistica che Foscolo sembra sposare in questo carme l’oblio trionfa annullando ogni aspetto della realtà con la sua notte.