Che caratteristiche possiede la sede dei beati? Può essere paragonata al Paradiso cristiano ovvero ad un luogo di felicità piena ed eterna in cui si contempla per sempre la bellezza, la bontà e la verità? In poche parole esiste per gli antichi romani un Paradiso, luogo di cui sono degni quanti hanno operato secondo la cultura e l’ideologia latine? Il prosieguo della narrazione del racconto di Enea permette di provare a dare una prima iniziale risposta a tale domanda. Come vedremo, Virgilio costruisce un mondo ricco di suggestioni orfiche, pitagoriche e platoniche. I Campi Elisi «conoscono un loro sole e stelle loro». Ivi, in mezzo a prati e boschi bagnati «dal corso copioso dell’Erìdano», senza fissa dimora, le anime dei beati continuano a esercitarsi nelle attività che svolgevano in vita, la ginnastica, la cura delle armi, la danza, il canto. Meritano questo destino

il manipolo di quanti han patito ferite combattendo

per la patria, e sacerdoti puri per quanto han vissuto,

e poeti sacri che hanno cantato cose degne di Febo,

e chi ha reso più bella la vita scoprendo saperi, o comunque

si è meritato di lasciare negli altri memoria di sé.

Mescolando fonti filosofiche differenti, Virgilio descrive qui anime di grandi personaggi che ritorneranno in vita reincarnandosi in futuri eroi della storia romana. Quest’indulgenza alla dottrina della reincarnazione di sapore orfico e pitagorico più che adombrare una reale convinzione del poeta o rappresentare il sentire comune del popolo romano sembrerebbe essere un escamotage poetico per poter anticipare con una felice prolessi tutta la storia gloriosa di Roma fino all’età di Augusto. Nei pressi del fiume Lete sono assiepate innumerevoli anime che bevono dell’acqua per dimenticare tutto il passato e per reincarnarsi in altri corpi.