Certe considerazioni più che scaturite da atteggiamenti di ricerca scientifica nascono da presupposti ideologici, di carattere scientista, positivista e materialista, quasi sempre mascherati sotto la parvenza di mode pedagogiche accettate dai più e, anzi, considerate come altamente educative. Fin dalla scuola dell’obbligo vengono giustamente educati i ragazzi al rispetto dell’ambiente e al risparmio energetico. Il percorso avviene, spesso, però attraverso la visione di film di stampo catastrofista ecologista. Solo apparentemente il fine è quello di trasmettere il rispetto ambientale. In realtà i contenuti e le immagini utilizzate sono il vero fine del film documentario piuttosto che lo strumento. Emblematica è la pellicola «L’undicesima ora» che trasmette una visione del mondo neomalthusiana, ostile alla cultura cristiana e alla visione antropologica biblica. La difesa dell’ambiente è solo il pretesto per sferrare un attacco alla tradizione occidentale e al progresso. La nuova ideologia ecologista nasconde, in realtà, la salvaguardia del privilegio di pochi. Il mondo, il benessere e la ricchezza devono essere a disposizione di chi li ha già ottenuti. Per questo ci si deve guardar bene dall’incrementare le nascite. Per questo le bestie sono considerate più buone e meno pericolose dell’essere umano che assoggetta il mondo.
Vediamo come in uno dei più celebri romanzi della letteratura italiana, Il fu Mattia Pascal, in maniera geniale Pirandello riflette sull’uomo, sulla sua diversità dalle bestie, sull’esistenza dell’anima. Leggiamo questo monologo interessantissimo, ma poco conosciuto, di Anselmo Paleari: «La Natura ha faticato migliaja, migliaja e migliaja di secoli per salire questi cinque gradini dal verme all’uomo; s’è dovuta evolvere è vero? Questa materia per raggiungere come forma e come sostanza questo quinto gradino, per diventare questa bestia che ruba, questa bestia che uccide, questa bestia bugiarda, ma che pure è capace di scrivere la Divina Commedia […] e di sacrificarsi come ha fatto sua madre e mia madre; e tutt’a un tratto, paffete, torna zero? C’è logica? Ma diventerà verme il mio naso, il mio piede, non l’anima mia, per bacco!»
Interessante è notare che Adriano Meis trova obiezioni al discorso, ma Anselmo Paleari puntualmente le confuta. Adriano, infatti, chiede dove sia l’anima una volta che un uomo cada, pesti la testa e divenga scemo. Anselmo replica: «Lei vorrebbe provare con questo che, fiaccandosi il corpo, si raffievolisce anche l’anima, per dimostrar che l’estinzione dell’uno importi l’estinzione dell’altra? Ma scusi! Immagini un po’ il caso contrario: di corpi estremamente estenuati in cui pur brilla potentissima la luce dell’anima: Giacomo Leopardi! E tanti vecchi, come per esempio Sua Santità Leone XIII! […] Ma immagini un pianoforte e un sonatore: a un certo punto, sonando, il pianoforte si scorda; un tasto non batte più; due, tre corde si spezzano; ebbene, sfido! Con uno strumento così ridotto, il sonatore, per forza, pur essendo bravissimo, dovrà sonar male. E se il pianoforte poi tace, non esiste più neanche il sonatore?»
Le argomentazioni del Paleari sono più persuasive rispetto a quelle del Meis: «Non vorrà dir nulla per lei che tutta l’umanità, tutta, dacché se ne ha notizia, ha sempre avuto l’aspirazione a un’altra vita, di là? È un fatto, questo, un fatto, una prova reale». Anselmo Paleari interpreta qui la religiosità di ogni tempo: «Sento che non può finire così!». Attacca, quindi, quanti distinguono l’umanità dal singolo uomo affermando che la prima continuerà a sopravvivere mentre l’individuo perisce: «Altro è l’uomo singolo, dicono, altro è l’umanità. L’individuo finisce, la specie continua la sua evoluzione. Bel modo di ragionare, codesto! […] Come se l’umanità non fossi io, non fosse lei e, a uno a uno, tutti. E non abbiamo ciascuno lo stesso sentimento, che sarebbe cioè la cosa più assurda e più atroce, se tutto dovesse consister qui, in questo miserabile soffio che è la nostra vita terrena: cinquanta, sessant’anni di noja, di miserie, di fatiche: perché? Per niente! Per l’umanità?».