Mercante di tessuti, Pietro di Bernardone si recava spesso in Francia per commerciare. Conobbe senz’altro le antiche storie dei cavalieri di quelle terre, da Perceval a Tristano, da Lancillotto a Rolando, portò ad Assisi i libri che le raccontavano facendole lui stesso conoscere al figlio, chiamato Francesco proprio in onore della terra di Francia. Certamente quel bimbo, che era nato ad Assisi nel 1181 (o nel 1182), crebbe affascinato dai cavalieri che conobbe attraverso la lettura dei romanzi d’Oltralpe e che divennero per lui il modello ideale a cui voleva assomigliare.
Così, a soli vent’anni, partito per la guerra che vedeva contrapposte le città di Assisi e di Perugia, venne imprigionato. Fu la prima esperienza in cui sperimentò la percezione della precarietà dell’esistenza e della miseria delle umanità capacità. Ma poco più tardi, nel 1204, mentre tentava di raggiungere Gualtieri III di Brienne per unirsi alla crociata, si ammalò nei pressi di Spoleto. Fu per lui un’ennesima sconfitta, la riprova che la sua ambizione di eccellere nel campo delle armi era probabilmente destinata a fallire. Sono tutti episodi estremamente significativi nel percorso verso la conversione. Nel 1205, partito per Roma per ottemperare a compiti assegnatigli dal padre, donò parte dei beni ai poveri. Poi, sulla strada di casa, incontrando un lebbroso, abbracciatolo, lo baciò, riconoscendo in lui il volto di Gesù. Nello stesso anno sente il crocifisso della chiesa di san Damiano rivolgersi a lui: «Francesco, va’ e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina».