Ci avventuriamo oggi in un percorso sulla letteratura del Duecento, un secolo importantissimo per la nostra cultura e la nostra arte, un secolo in cui inizia la nostra letteratura con il «Cantico delle creature» nel 1224 e, nel contempo, nasce anche il maggiore poeta italiano, Dante Alighieri, nel 1265. È un secolo che prelude al Trecento, considerato il secolo d’oro della nostra letteratura insieme al Cinquecento.
Prima di avventurarci nello studio di scuole, correnti ed autori, ci soffermeremo sulla concezione dell’uomo di quell’epoca così distante da quella contemporanea. Solo così si potrà comprendere meglio il significato e il valore dei testi duecenteschi.
Nel Medioevo l’uomo si concepisce come un peccatore che dipende da Dio, come svelerà il santo eremita nel Perceval di Chrétien de Troyes o, con definizione altrettanto felice, un «nulla capace di Dio», secondo la bellissima espressione del romanziere e saggista francese Daniel Rops. Tanta letteratura successiva al Medioevo ha diffuso, invece, lo stereotipo secondo il quale nell’epoca medioevale l’uomo fosse in secondo piano, schiacciato e oppresso dalla divinità e solo il Rinascimento avrebbe scoperto il valore centrale dell’uomo, lo avrebbe riposizionato al centro del cosmo. A sfatare questo pregiudizio infausto sul Medioevo ci soccorre una miniatura di santa Ildegarda di 0. Bingen, realizzata nel 1163. Inscritta in una Terra compare la figura di un uomo, circondato da Dio con il suo abbraccio misericordioso. Evidente è la somiglianza con l’uomo vitruviano realizzato da Leonardo da Vinci più di trecento anni più tardi (ca 1490). Anche lì un uomo è iscritto in una circonferenza, ma è scomparsa la presenza di Dio. Questo sarà il cambiamento epocale tra Medioevo e Rinascimento: non tanto l’introduzione della centralità dell’uomo, fatto già pienamente riconosciuto nel Medioevo cristiano, quanto la scomparsa della pertinenza di Dio con le vicende umane.