Sui Promessi sposi si è scritto davvero tanto. A scuola è più facile che gli studenti di quinta sappiano ripetere i commenti di critici illustri sul romanzo o il loro giudizio sulla provvidenza manzoniana piuttosto che sappiano dire semplicemente come Manzoni concluda il romanzo.
Fate una verifica immediata. Se avete figli che studiano alle superiori, al biennio (ove andrebbero letti I promessi sposi in forma integrale o quasi) o al triennio (almeno un mese è solitamente dedicato allo studio del grande scrittore lombardo), oppure anche alle medie inferiori, chiedete loro che cosa sia la fede per Manzoni. Oppure, in forma più semplice, come si concluda il romanzo. O quale sia il «sugo della storia», per utilizzare l’espressione che l’autore pone al termine dell’opera. Oppure chiedetevi voi lettori, che avete studiato, vi siete diplomati o laureati, se abbiate mai affrontato la conclusione dei Promessi sposi, se vi abbiano mai letto a scuola le ultime quattro pagine del romanzo, quelle che seguono il matrimonio di Renzo e Lucia. Sarebbe interessante condurre una statistica al riguardo tra tutti quanti affermano di aver studiato il romanzo più importante della letteratura italiana.
In questi anni di insegnamento al triennio delle superiori devo riconoscere che gli studenti che arrivano all’ultimo anno della scuola superiore non conoscono la conclusione. Le risposte che più si sono avvicinate, per la verità, sono state queste: il romanzo prosegue per poco e Renzo e Lucia hanno dei figli oppure i due protagonisti non sono così contenti.
Tutto qui? Vi sembra possibile che in un anno di scuola il docente non abbia un’ora di tempo per raccontare quanto Manzoni abbia voluto dirci? È un’omissione voluta o casuale? Per approfondire un aspetto della realtà è importante metterlo in relazione con il suo significato, con il senso, quello che Manzoni chiama «il sugo della storia».
Il nostro autore, cattolico e realista, non ha voluto scrivere una favola a lieto fine, come potrebbe a taluni sembrare, né tantomeno ha voluto scrivere un’opera moralista. Entrambe le interpretazioni sono una deliberata riduzione della genialità del cristianesimo che emerge dalla lettura del romanzo. Vediamo allora meglio la conclusione.
Una volta sposato con Lucia, Renzo va ad abitare in un paesino della bergamasca dove si crea una forte attesa per vedere quella donna per la quale il giovanotto ha passato tante traversie. Quando finalmente la sposa giunge in paese, le persone incominciano ad esprimere giudizi non sempre lusinghieri sull’aspetto della ragazza. Le voci girano finché qualche «amico» non pensa di riportare i commenti a Renzo. Questi mostra di aver tutto sommato mantenuto l’indole di un tempo, cova dentro di sé un’ira pronta ad esplodere. «A forza d’essere disgustato, era ormai divenuto disgustoso. Era sgarbato con tutti, perché ognuno poteva essere uno de’ critici di Lucia. Non già che trattasse proprio contro il galateo; ma sapete quante belle cose si possono fare senza offender le regole della buona creanza: fino sbudellarsi».
Ma finalmente Renzo ha la possibilità di cambiare paese e di comprare lì un filatoio assieme al cugino Bartolo. «Lucia, che lì non era aspettata per nulla, non solo non andò soggetta a critiche, ma si può dire che non dispiacque; e Renzo venne a risapere che s’era detto da più d’uno: “Avete veduto quella bella baggiana che c’è venuta?”. L’epiteto faceva passare il sostantivo».
Ma i fastidi iniziano a farsi sentire anche lì. La vita dell’uomo non è mai perfetta, immune dalla sofferenza e dai problemi. L’uomo desidera sempre indossare un vestito che non è il proprio, percepisce un’insoddisfazione come un pungolo, anche quando sembra aver raggiunto l’obiettivo tanto agognato. Manzoni per rappresentare tale situazione esistenziale utilizza un’immagine icastica: l’uomo è come un infermo che desidera cambiare letto, guarda quello altrui e lo vede più comodo e confortevole. Quando finalmente riesce a trovare un altro giaciglio, inizia a sentire «qui una lisca che lo punge, lì un bernoccolo che lo preme: siamo in somma, a un di presso, alla storia di prima. E per questo, soggiunge l’anonimo, si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio».
Il romanzo, però, non è ancora terminato. Di questo e di altro si parlerà nell’incontro di Monza.