Chi non è rimasto sgomento e atterrito di fronte alle inquietanti parole che Dante legge sulla sommità della porta che dischiude al regno dell’eterna tristezza e dell’incurabile dolore? Come il Sommo poeta, anche noi rabbrividiamo alla lettura di quei versi che suonano impietosi e, nel contempo, sembrano contraddire la bontà e la Misericordia di Dio:
Per me si va nella città dolente,
per me si va nell’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore,
fecemi la divina potestate,
la somma sapienza e ‘l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza voi che entrate.
L’Inferno, leggiamo, infatti, nell’epigrafe, è stato creato per giustizia, è opera della Trinità, non del diavolo. Com’è possibile ciò? Non contraddice quanto noi abbiamo imparato e appreso della bontà di Dio Padre attraverso la rivelazione di suo Figlio Gesù? Il diavolo non ha la possibilità di creare nulla, semmai distrugge e tenta, seduce con l’inganno e l’ipocrisia, alletta con falsi beni. L’Inferno è per chi ha desiderato il male fino all’ultimo, la sua esistenza rispetta la volontà di quegli uomini che desiderano il male fino in fondo, che non riconoscono Dio o non si lasciano abbracciare dalla divina Misericordia che «ha sì gran braccia/ che prende ciò che si rivolge a lei». L’esistenza dell’Inferno rispetta totalmente la libertà dell’uomo. A che servirebbe una salvezza per uomini schiavi, completamente privi di libertà?