altdi DOMENICO BONVEGNA

Continuiamo il nostro sguardo sul percorso culturale filosofico e sociale dell’uomo occidentale che si rende autonomo da Dio, dimenticandosi del peccato originalee del cristianesimo. Naturalmente continuo a utilizzare l’ottimo testo ben scritto, perché sintetico, del professore Giovanni Fighera, “Che cos’è mai l’uomo perché di lui ti ricordi?”, edizioni Ares (2012). Il volumetto riesce a concentrare in poche pagine (227) la complessità e la vastità degli argomenti affrontati, non credo di esagerarema potrebbe essere utilizzato come lettura critica nei licei italiani.

L’illuminista francese all’attacco della tradizione.

Il Settecento è il secolo dei grandi cambiamenti, delle trasformazioni, della smisurata fiducianella scienza, nella tecnica, e nel progresso. Fighera sceglie alcuni aspetti dell’illuminismofrancese che riguarda l’aspetto dell’uomo ha di sé. E’ impossibile sintetizzare la complessitàdelle “sollecitazioni filosofiche e culturali che hanno, poi, influenzato in maniera determinante isecoli successivi”.

L’illuminista francese, “vede nel passato e nella tradizione il nemico principale da sgominare con tutte le sue superstizioni e i suoi falsi credo in nome di una nuova epoca, fondata su un nuovo umanesimo o, se vogliamo, su una nuova umanità”. Attacca e contesta apertamente ilcristianesimo, il cattolicesimo e la Chiesa. Con un atteggiamento prometeico, l’illuminista,attraverso la ragione, il nuovo fuoco, “si contrappone al cielo, di cui pensa ormai di poter fare   a meno”, cerca di costruire un nuovo mondo, diventando cittadino del mondo. “L’uomo, finalmente liberato dalle catene di una tradizione effimera e menzognera, realizzerà la società nuova, – scrive Fighera – una umanità felice e perfetta. Questa mentalità poi arriverà alla fine del secolo alla disastrosa e violenta Rivoluzionefrancese che imporrà con la violenza un nuovo ordine. Tuttavia, con “la dimenticanza depeccato originale porta alla convinzione che si possa costruire una società perfetta con la ragione e il progresso o con l’esaltazione della buona natura umana”. Tutto questo è evidentein Rousseau, nell’Emilio, dove il filosofo francese considera “buona la natura umana attribuendo la colpa del male allo sviluppo umano, al progresso e alla società”.I filosofi illuministi per il professore, predicanol’”astrattezza, non la concretezza della realtà in tutta la sua fragilità, i buoni sentimenti e i valori, non la compagnia pur peccatrice della Chiesa…”. In pratica, l’umanità senza la persona, i valori senza Cristo. Attenzione, raccomanda il professore Fighera, occorre sfatare i tanti luoghi comuni che circolano sui libri di scuola o suitanti saggi che tendono a presentare l’illuminismo come “una fucina, un laboratorio dei valori più importanti della Modernità”.

Fighera prende in esame la tolleranza, di cui si fece interprete il settecento rispetto al bieco

Medioevo, intollerante e oscurantista. Il corifeo della tolleranza sarebbe Voltaire, ma è falso. Per Voltaire, il più grande servizio che si possa rendere all’umanità, è quello di “schiacciarel’infame”, cioè il cristianesimo, la Chiesa cattolica. E’ noto come il terrore giacobino ha massacrato i cristiani vandeani, compiendo il primo genocidio della Storia, che resistevano al “paradiso” della rivoluzione parigina.

Prima di arrivare all’epoca delle ideologie Fighera prende in esame il periodo romantico e la solitudine del cosiddetto eroe romantico. Viene tratteggiata l’immagine tipica della religiosità dell’eroe romantico, in Jacopo Ortis,“il ribelle e raffinato, sensibile ed elitario”,di Ugo Foscolo. E poi prosegue nella descrizione delWerther, e il Faust di Wolfgang Goethe, tra disperazione, suicidi e solitudine dei protagonisti. Una sorta di titanismo e di vittimismo nello stesso tempo.